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11 Minutes

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VOTO: 7

L’artificioso mosaico

L’ultima volta che Jerzy Skolimowski aveva presentato un suo film in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, nel 2010, si trattava di Essential Killing, che procurò a Vincent Gallo la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile e con cui il regista si aggiudicò il Leone d’Argento. Già dopo la proiezione stampa di 11 Minutes non sono mancate le congetture circa un secondo riconoscimento alla maestria registica di Skolimowski, che nel suo ultimo film dà prova di una capacità di coordinazione e costruzione temporale non comune.
Quella di 11 Minutes non è certa una trama che si possa definire innovativa: per quanto affrontata in maniera personale e riconoscibile, si fonda sul meccanismo ben noto col quale più vite finiscono imprevedibilmente per incontrarsi (struttura alla quale ricorre spesso  A. G. Innaritu, basti citare Amores Perros (2000) e 21 grammi (2004)). Nel caso di Skolimowski non si tratta esattamente di una convergenza, piuttosto della condivisione di un’esperienza conclusiva apocalittica e fuori dell’ordinario, di cui i personaggi seguiti sino a quel momento si scoprono essere la causa o semplici spettatori.
L’apporto originale del film sta piuttosto nel lasso estremamente breve di tempo che Skolimowski sceglie di mettere in scena: solo 11 minuti (dalle 17:00 alle 17:11), durante cui un’attrice, il compagno geloso, un direttore di casting cinico e opportunista, un venditore di hot dog ex pedofilo e tanti altri personaggi ancora ci vengono mostrati fronteggiare le loro tribolazioni quotidiane, più o meno considerevoli.
Seguire più personaggi senza fuoriuscire dal brevissimo segmento temporale a disposizione era un compito titanico: come scongiurare il pericolo di una narrazione frammentaria e di una giustapposizione dei vari filoni senza alcuna soluzione di continuità? Difficile dare una risposta esaustiva, quel che è certo è che Skolimowski riesce nell’impresa, riuscendo a domare una materia recalcitrante e ad orchestrare una composizione che finisce per essere armoniosa e non dispersiva, grazie ad una regia superlativa e ad un montaggio pulito. Ma malgrado simili premesse, la costruzione risulta comunque artificiosa e fin troppo studiata, e vien da chiedersi se la bellezza del film sarebbe sopravvissuta ad una narrazione lineare e meno virtuosistica; anche le vicende dei molti (forse troppi) personaggi non sono seguite con la dovuta completezza, tanto che alcune di esse son poco più di piccoli accenni. Lo stesso finale, che data la struttura del film è inevitabilmente atteso con una certa trepidazione, è puro sensazionalismo e non consegna alla storia un senso retrospettivo.
Oltre al suo valore tecnico ad 11 Minutes vanno comunque riconosciute intuizioni e interessanti, come il (metaforico) pixel morto sul monitor di videosorveglianza (del quale Skolimowski intuisce la potenza facendolo tornare anche nei titoli di coda) e la fumosa percezione di una minaccia di cui tutti parlano (i personaggi discorrono più volte di un qualcosa che oscura il cielo) ma sulla quale la macchina da presa non indugia un secondo.
Meno spontaneo e dirompente di Essential Killing, 11 Minutes resta un lavoro meticoloso e suggestivo, che, se non possiede requisiti sufficienti per ambire al Leone d’Oro, meriterebbe comunque un riconoscimento per la sua ineccepibile regia.

Ginevra Ghini 

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