Uomo e architettura
Ogni qualvolta ci si accinga a visionare un film del celebre regista russo Victor Kossakovsky, sappiamo con certezza che ciò a cui ci troveremo davanti è un’opera maestosa e imponente, che con le sue immagini suggestive è pronta a tenerci con gli occhi incollati sullo schermo dall’inizio alla fine. Stesso discorso, dunque, vale anche per il documentario Architecton, l’ultima fatica di Kossakovsky, presentata in corsa per l’Orso d’Oro alla 74° edizione del Festival di Berlino.
Con Architecton, dunque, il regista ha effettuato un’acuta e mai banale riflessione sul rapporto che lega uomo, natura e architettura. Cosa siamo in grado di costruire? E, soprattutto, quanto è in grado di resistere nel tempo ciò che costruiamo? Attraverso un breve prologo, dunque, immagini fortemente brutali e dolorose ci mostrano una serie di palazzi distrutti in seguito al recente terremoto in Turchia. La macchina da presa di Kossakovsky non ci mostra mai i singoli dettagli delle abitazioni smantellate, ma, attraverso una serie di panoramiche, si avvicina di volta in volta ai palazzi quanto basta per farci avere un’idea della situazione.
Poi, improvvisamente, sul grande schermo accade la magia. Sassi, tanti sassi scivolano giù dalle pendici di una montagna. Ripresi nel dettaglio sembrano quasi una composizione astratta, resa ancora più “patinata” da un sapiente uso del digitale. Paesaggi che, all’orizzonte, sembrano non avere quasi una fine fanno spesso da protagonisti assoluti. Le rovine del tempio Baalbek in Libano (risalenti al 60 d. C.) sembrano quasi non aver risentito del passare dei secoli. Nel frattempo, l’architetto italiano Michele De Lucchi, con l’aiuto di alcuni muratori, cerca di realizzare un singolare progetto in un piccolo paesino rurale: un cerchio di pietre destinato, finalmente, a durare nel tempo, dentro il quale nessun essere umano ha il permesso di entrare, essendo tale spazio destinato esclusivamente agli animali.
Il presente Architecton, dunque, cerca a suo modo una possibile soluzione che permetta a uomo e architettura di “riappacificarsi”, in modo che determinati errori accaduti anche di recente possano non ripetersi mai più. Indubbiamente, una bella utopia. Bella come le immagini curatissime e studiate fin nel minimo dettaglio da Victor Kossakovsky, il quale ha sempre conferito all’estetica dei suoi lavori un ruolo particolarmente importante.
Non v’è bisogno, in Architecton, di didascalie, di interviste o di eccessivi dialoghi. Le uniche parole che udiamo sono quelle scambiate sporadicamente tra Michele De Lucchi e i due operai con cui lavora. Per la gran parte del documentario, le immagini parlano semplicemente da sé e ci arrivano immediatamente con tutta la loro potenza visiva e comunicativa. Ciò di cui, forse, il regista potrebbe essere “accusato” è, a tal proposito, proprio un’estetica talvolta eccessivamente patinata e un uso esagerato della postproduzione in digitale. Ma sta bene. Di fatto, egli ha chiaramente in mente in quanti modi sia possibile, oggi, giocare con i mezzi che la settima arte ha messo a nostra disposizione. Perché, dunque, non farlo nel modo che gli è più congeniale?
Marina Pavido