Pezzo di storia della musica
Era il 2018 quando, nella sale americane, usciva il film-documentario evento Amazing Grance, dedicato ad una delle muse della lirica statunitense; quell’Aretha Franklin di cui ormai si sente poco parlare. A distanza di tre anni, e con una pandemia di mezzo, il film fa tappa anche nel nostro Paese. Già solo nella descrizione si capisce l’importanza della pellicola che si sta per vedere. Il film è basato su delle riprese durante un evento tenutosi in una chiesa pastorale americana, gestita dal reverendo James Cleveland, uno dei protagonisti che si vede di più nell’arco della proiezione assieme alla cantante afro-americana. Queste riprese hanno una firma d’eccezione come quella di Sidney Pollack, chiamato a realizzarle per poi proiettarle in uno show televisivo. Si percepisce subito l’atmosfera del periodo a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, periodo storico in cui la Franklin era all’apice del suo splendore. Il documentario dura poco più di un’ora al cui interno si può ascoltare gran parte del repertorio della musa. Già solo l’occasione di poter ascoltare sia pezzi inediti sia canzoni, che ancora oggi riecheggiano all’orecchie dei più esperti, è un’opportunità incredibile. A tal proposito, l’uscita in sala sarà breve e solo in alcune selezionate, pertanto sarà molto complicato avere la possibilità di vedere il film.
I pochi fortunati che riusciranno a vivere l’occasione di calarsi nell’atmosfera festosa dell’evento a cui partecipò la cantante rimarranno estasiati dalla sua bravura. Alla lunga però, il documentario risente dei difetti di produzione piuttosto evidenti per il periodo. La regia di Alan Elliott si concentra troppo su riprese effettive a 1:1, il che costringe lo spettatore ad avere solo l’immagine di Aretha Franklin che dà sfogo a tutta la sua passione o al sudatissimo reverendo Cleveland che la accompagna al pianoforte colando da tutti i pori. La regia del direttore di macchina nato a Lafayette permette allo spettatore di catturare ogni singolo dettaglio delle emozioni scaturite dal canto spassionato della Franklin. Andando avanti nella visione però, il film risulta noioso e leggermente claustrofobico. Quest’ultimo aspetto è dato dal luogo in cui è ambientato tutta la pellicola: l’interno di una chiesa. Allo stesso tempo, gli operatori di macchina faticano a trovare posizioni in cui effettuare riprese interessanti per via del poco spazio a disposizione, il che rende tutto molto macchinoso e rallentato. L’aspetto principalmente positivo però risiede tutto nell’empatia: chiunque vedrà il film non potrà fare a meno di rimanere catturato dai climax vocali urlati a squarciagola dalla lirica afro-americana, così come non potrà restare indifferente alle voci del gruppo corale, diretto da Alexander Hamilton, né tanto meno dal pubblico presente all’evento perennemente incantato dalla voce di Aretha Franklin e partecipante con applausi scroscianti ed esultanze da stadio. In conclusione, Amazing Grace è un film che, per il periodo in cui è stato girato, ha molti difetti evidentissimi. Per apprezzarlo appieno bisogna essere un esperto appassionato di musica che ha seguito l’intera carriera. Amazing Grace si tratta per lo più di un lungometraggio adatto per un’esposizione museale. Se si decidesse un giorno di aprire una mostra su Aretha Franklin, sulla sua famiglia o sulla musica gospel, questo documentario sarebbe perfetto da proiettare in loop per tutta la durata della mostra.
Stefano Berardo