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Almost Dead

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VOTO: 7.5

Less is more

Di storie di zombie – soprattutto dopo Zombi, appunto, il capolavoro del 1978 del grande maestro George A. Romero – ne abbiamo viste a bizzeffe. Eppure, come ben sappiamo, ciò che alla fin fine conta è il tipo di messa in scena adottato, che – unitamente allo script, ma anche a precise scelte attoriali e via discorrendo – sta a conferire o meno, di volta in volta, una propria identità al prodotto di turno. Che, dunque, non sia facile dar vita a qualcosa di nuovo ed originale, dopo tutto quello che già è stato creato nel corso degli anni, è cosa risaputa. Eppure, a volte, vi sono prodotti che – con una sceneggiatura quasi essenziale, con l’utilizzo di un’unica location e con un cast che vede al suo interno pochissimi interpreti – riescono a colpirci e, in qualche modo, anche a stupirci, classificandosi di diritto come pregiati film di genere. Questo è il caso, ad esempio, del lungometraggio horror Almost Dead, presentato in anteprima al Fantafestival 2017 e diretto dal giovane regista catanese Giorgio Bruno, il quale, dopo l’esordio nel 2013 con Nero Infinito, sembra finalmente aver trovato una propria, vincente linea registica.
Girata in un parco di Catania, con un budget decisamente limitato, questa opera seconda di Bruno ci racconta le vicende di Hope Walsh, una dottoressa, giovane madre di una bambina, che – in seguito ad avvenimenti del tutto misteriosi – si risveglia all’interno di un’auto, insieme ad una donna apparentemente morta. Piano piano l’auto sarà circondata da zombie ed Hope, in seguito ad un morso da parte di uno di loro, avrà solo sei ore di tempo per trovare il siero in grado di salvarle la vita.
Il soggetto di base è la più classica delle storie: una pericolosa epidemia terrorizza la città, tutto ciò che bisogna fare è mettere in salvo sé stessi, i propri cari e trovare un modo di porre fine alla tragedia in corso. Leit motiv: il confine tra il bene ed il male e, soprattutto, fino a che punto siamo disposti ad arrivare pur di salvaguardare le nostre stesse vite. Niente di più, niente di meno. Eppure, questa storia dalle linee essenziali, che si avvale di un’unica location per tutta la durata del lungometraggio e che vede come protagonista una giovane donna (interpretata dalla capace Aylin Prandi), la quale, per gran parte del tempo tenta di salvarsi quasi esclusivamente seguendo delle indicazioni al telefono, sul grande schermo funziona eccome. Merito, appunto, di uno script pulito e tutt’altro che facile da realizzare, il quale, chiaramente memore del recente Locke (diretto nel 2013 da Steven Knight e presentato Fuori Concorso alla 70° Mostra del Cinema di Venezia, in cui, appunto, abbiamo visto il protagonista parlare al telefono, all’interno della propria automobile, per tutta la durata del lungometraggio stesso), ben sa gestire i tempi narrativi e riesce abilmente ad evitare pericolosi vuoti e battute ridondanti.
Un crescendo di tensione e ritmi serrati caratterizzano, dunque, questo secondo lavoro di Giorgio Bruno, il quale, tuttavia, si rivela fin da subito di respiro internazionale, grazie ad una fotografia quasi hollywoodiana e ad una ricostruzione degli ambienti tipiche di lungometraggi frutto di grandi produzioni internazionali. Stesso discorso vale anche per il trucco e gli effetti speciali: estremamente realistica è la pelle della giovane protagonista, la quale, dopo essere stata contagiata dal morso di uno zombie, assume pian piano delle venature bluastre che si fanno via via sempre più invasive e che contribuiscono ad accrescere nello spettatore quella tensione necessaria nel momento in cui si vuol mettere in scena un prodotto del genere.
Ciò che maggiormente incuriosisce, a questo punto, è proprio il destino che un lavoro come Almost Dead potrebbe avere in un paese come l’Italia. Pensato come un prodotto da lanciare anche al di fuori dei confini nazionali, l’opera di Bruno si classifica come qualcosa di estremamente curato e raffinato, perfettamente in linea con cinematografie estere, ma che – proprio per la sua resa finale – a stento fa pensare agli standard produttivi tipici dei circuiti indipendenti nostrani. Riuscirà il grande pubblico ad apprezzare tale sforzo e, soprattutto, avrà il lungometraggio stesso una giusta visibilità all’interno del nostro Bel Paese? Solo il tempo potrà dircelo. Intanto, però, possiamo affermare a gran voce che, finalmente, con Almost Dead è nato un regista. E questa non è cosa da poco.

Marina Pavido

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