La quiete prima della tempesta
23 maggio–19 luglio 1992: quei 57 giorni sono stampati oramai a caratteri cubitali sulle pagine nere della Storia nostrana e non solo, impressi in maniera indelebile nella memoria collettiva. Date, queste, che non potranno mai essere dimenticate, destinate a rimanere ferite aperte mai cicatrizzate. Si tratta dello iato temporale che separa l’attentato a Giovanni Falcone da quello a Paolo Borsellino, nei quali hanno perso la vita i due magistrati, i loro affetti e gli agenti assegnati alle rispettive scorte. Ma i fatti li conoscete fin troppo bene, così come le cause e le conseguenze, per cui non staremo qui a tediarvi con la cronaca più o meno fedele di quanto accaduto, anche perché ciò sul quale andremo a focalizzare l’attenzione ci riporta sette anni prima, per la precisione all’estate del 1985 quando i due straordinari uomini di legge vennero trasferiti d’urgenza e in “gran segreto” con le famiglie in quel dell’Asinara per istruire e preparare lo storico maxi processo. Ed è a quel periodo che Fiorella Infascelli si rifà per portare sul grande schermo la sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo Era d’estate, che approda nelle sale con 01 Distribution per sole 48 ore (23 e 24 maggio) in occasione del 24esimo anniversario della strage di Capaci, dopo la pre-apertura della decima edizione della Festa del Cinema di Roma.
La Infascelli ricostruisce il periodo trascorso dai due magistrati nella piccola foresteria di Cala D’Oliva sull’isola sarda, lembo di terra tra le acque cristalline che la regista capitolina conosceva già per aver raccontato nel 2011, nel documentario Pugni chiusi, la protesta degli operai della Vinils di Porto Torres che scelsero di autorecludersi per più di un anno nel carcere dismesso dell’Asinara per provare a salvare il proprio posto di lavoro. Per farlo preferisce al “cinema del reale” quello di finzione, appoggiandosi a un folto gruppo di attori e ad alcune testimonianze dirette (non esistono infatti documenti, dossier o altro) per riportare a galla i ricordi legati a un episodio che, a differenza di tanti altri che hanno avuto come protagonisti Falcone e Borsellino, non è mai stato veramente approfondito e narrato sul grande quanto sul piccolo schermo. E vista la consistente mole di materiale audiovisivo prodotto dal 1992 in poi sorprende il fatto che nessuno si sia mai soffermato su quel periodo, a maggior ragione se si pensa all’importanza che quelle settimane di isolamento forzato hanno successivamente rivestito per quanto concerne la lotta alla Mafia. Merito, dunque, alla cineasta e sceneggiatrice romana per aver deciso di dare forma e sostanza cinematografica a quello che sino a questo momento rappresentava un tassello mancante. Merito che va esteso anche al fatto di aver deciso di ampliare l’orizzonte drammaturgico del racconto agli aspetti più intimi e privati di quella esperienza, scegliendo di accompagnare al lavoro sulle carte l’impatto psicologico provocato sui singoli da quella condizione di isolamento. Una condizione che via via si farà per molti dei protagonisti, magistrati compresi, estenuante e insopportabile a causa delle lunghe attese, dell’impotenza e della mancanza di notizie dalla terra ferma. La Infascelli restituisce il tutto dilatando le giornate, senza scandirne con esattezza il passaggio con le lancette dell’orologio, ma solo il principio e la fine, la luce e il buio, il giorno e la notte. Le atmosfere appaiono sempre più rarefatte, ma allo stesso tempo le ambientazioni e le location vere e naturali ci restituiscono la bellezza intrinseca dei scenari mozzafiato dell’Asinara. Pensare che lì, proprio lì, fuori e dentro le stanze di quella foresteria ciò accadeva realmente e si scrivevano pagine importanti della Storia, non fa altro che impreziosire l’opera. I giorni, infatti, trascorrevano e nelle menti dei protagonisti iniziavano a farsi largo i dubbi, le domande senza risposte legate ai veri motivi che li avevano portati su quell’isola, controllati a vista dalle guardie penitenziarie e senza vie di fuga. Erano lì per motivi di sicurezza? Oppure per consentire loro di preparare il maxi processo? O al contrario per impedirgli di indagare? A voi l’ardua sentenza.
Per tutta la timeline, Era d’estate viaggia sul filo del dubbio, giocando a più riprese su tutte e tre le possibilità. Ciò genera delle implicazioni psicologiche ed empatiche all’interno di una drammaturgia altrimenti votata alla sobrietà e all’essenzialità. La scrittura, infatti, alla lunga non presenta grandi guizzi, ma si limita a una ricostruzione romanzata di fatti e reazioni pubbliche e private, animate da confronti, incontri e scontri. Questa persistente linearità e pulizia, a tratti verbosa e ripetitiva, non fa decollare il film, ma abbassa le potenzialità insite nella vicenda, quanto basta per farne una parentesi di due esistenze da ricostruire, probabilmente meglio se destinata a una fruizione televisiva nel palinsesto di prima serata. Il lavoro davanti la macchina da presa di Massimo Popolizio (Falcone) e Giuseppe Fiorello (Borsellino) è comunque degno di nota, ben calibrato da entrambi e improntato sul rispetto e l’attenzione nei confronti delle figure chiave che sono stati chiamati a interpretare. Forse, sono proprio le loro performance l’elemento che consente all’operazione di rimanere a galla.
Francesco Del Grosso