Deserti rossi
Dieci anni senza David Lynch. Precisiamo: dieci anni senza un lungometraggio diretto da David Lynch, fortunatamente ancora ben vivo e vegeto. Era infatti il 2006 quando Inland Empire, probabilmente il vertice assoluto del “cripticismo lynchiano”, faceva la sua comparsa alla Mostra del Cinema di Venezia dell’epoca. Sguardi attoniti e turbamenti reali. La sensazione che un cerchio si fosse appena chiuso. Ma aperto quando?
Nulla di meglio che recuperare l’edizione home video di Lost Highway – in italiano ovviamente Strade perdute, unica traduzione possibile dall’ancor più stratificato titolo originale – edita da RaroVideo attraverso CG Entertainment per provare a comprendere i contorni di un percorso oscuro almeno quanto le prime immagini di un’opera indimenticabile per mille e più motivi. Fari di un automobile che illuminano a vista pochi metri di strada buia. Tanto i titoli di testa quanto i titoli di coda, a sottolineare ulteriormente – ammesso che ce ne fosse bisogno – quella circolarità estrema presente in molte opere cinematografiche di Lynch. Lasciate dunque ogni speranza o voi che sperate in una narrazione tradizionale: Lost Highway sarà anche cinema surrealista e simbolico al grado zero, ma mai “innocente” masturbazione autoriale. Perché Lynch – al netto delle varie letture psicoanalitiche, più adatte ad un sesquipedale saggio di approfondimento piuttosto che ad un sommario riesame del film in questione – destruttura in maniera pressoché esasperata, e perciò perfetta, tutti i codici che in quasi un secolo sono andati a comporre generi come il noir e il thriller, planando a volo libero su quei bersagli che autori tipo Alfred Hitchcock (solo per fare il nome di un gigante tra i giganti) era costretto giocoforza a lasciar solo intuire, dovendo obbedire – chiaramente a proprio modo – alle regole non scritte del mainstream.
Come appunto in ogni noir che si rispetti, al centro del discorso c’è la questione dell’identità. Cioè i motivi per cui tali personaggi compiono determinate azioni allo scopo di perseguire un obiettivo differente da quello che potrebbe sembrare in apparenza. E che per questo possono essere riconosciuti, magari alla fine della storia, come positivi o negativi. Tutto vero e tutto giusto: però Lost Highway si muove su altre coordinate. Appartenenti non al conscio ma all’inconscio. Quello stato semi-sonnambolico dove è enormemente più facile, per lo spettatore, specchiarsi nel grande schermo e finirci poi coinvolto, alle prese con paure che si riteneva avere sotto totale controllo. Per questo la reazione immediata, dopo aver assistito alla metamorfosi del saxofonista Fred Madison (un Bill Pullman ennesimo, perfetto alter ego lynchiano: è sufficiente osservare il modo in cui fuma la sigaretta all’inizio), presunto uxoricida rinchiuso nel braccio della morte, nel giovane meccanico Pete Dayton (Balthazar Getty) è di stupore assai relativo, assodato il fatto che le difficoltà mutano drasticamente tanto le persone reali quanto, a maggior ragione, i personaggi che dovrebbero appartenere alla finzione. Non manca la femme fatale (una Patricia Arquette da urlo, nel duplice – o triplice – ruolo di Renee Madison, moglie di Fred, e Alice Wakefield, amante del giovane Pete) a condurre il gioco, mentre le cosiddette regole d’ingaggio vengono dettate da un uomo misterioso (l’assai inquietante Robert Blake, di certo ubiquo e forse trino) armato prevalentemente di una videocamera con la quale imprime (?) tracce di verità ad una realtà priva di senso logico. Con il fondato sospetto che trattasi, semplicemente, di falsi movimenti in un “grande sonno” magistralmente articolato. E nello splendore del deserto del Mojave, tra case in fiamme (marchio dell’autore) che si ricompongono ed un ultimo amplesso consumato nottetempo illuminato dai fari della macchina (perfetta riproduzione del contesto cinematografico?) lo stato onirico si sovrappone alla più malefica della realtà, in cui il turbinio di volti e personaggi lascia il posto alla considerazione, più vera del vero, che l’essenza di un essere umano resta in fondo enigmatica persino per il suo legittimo proprietario. Figuriamoci, quindi, per tutti gli altri.
In questa presa d’atto si racchiude il turbamento dello spettatore, in qualche modo costretto a rimuginare sulla visione di Lost Highway anche a distanza di tempo. Nell’inutile tentativo di risolvere il dilemma filosofico che attanaglia la natura umana da quando si è acceso un barlume di ragione in essa. Un aspetto di cui David Lynch – breve ma interessante la sua intervista contenuta negli extra del disco – è perfettamente consapevole, come dimostreranno i successivi Una storia vera (1999), Mulholland Drive (2001) e il già menzionato Inland Empire. Ma anche gran parte della sua filmografia passata. Composta da tanti lavori incentrati su una ricerca davvero troppo difficoltosa per l’umana imperfezione.
Daniele De Angelis
Lost Highway [Strade perdute]
Regia: David Lynch USA, Francia 1997 Durata: 134′
Cast: Bill Pullman, Patricia Arquette, Balthazar Getty
Lingue: Italiano 2.0 Dolby Digital, Originale 2.0 Dolby Digital, 5.1 Italiano HD Master audio, 5.1 Originale HD Master audio
Sottotitoli: Italiano Formato: 16/9 2.35:1
Extra: Making of, Intervista al regista, Trailer
Distribuzione: RaroVideo con CG Entertainment