Bellezza e tormento
Se ne è andato, alla fine, Alain Delon. La dipartita artistica, come sovente capita, ha preceduto di parecchio quella fisica. Un corpo in cui il dono della bellezza – ne parliamo spesso riguardo le attrici – non può che sfiorire, in ossequio al Tempo. Eppure, nel caso della carriera di Delon, un viso fotoromanzesco non è affatto rimasto agganciato a quegli archetipi di superficialità; è invece decollato verso le vette del Cinema più autoriale. Come è stato possibile? Una questione di incontri, con persone dotate del cosiddetto “overlook”. Citando Shining, quello sguardo capace di andare oltre la semplice apparenza delle cose. René Clément, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni e Jean-Pierre Melville. Registi in grado di svelare il lato oscuro della bellezza, mettendone in evidenza il malessere esistenziale recondito, poi manifestato anche per altri autori.
Inizia Clément, nel 1960, con Delitto in pieno sole. Tom Ripley, personaggio nato dalla penna di Patricia Highsmith vi suggerisce qualche cosa? Un omicida senza scrupoli, che usa la propria bellezza solare con il prossimo per uccidere e carpirne l’identità. Un passaggio verso un mondo composto da impostori. Quasi un web ante litteram. Nel medesimo anno, con Rocco e i suoi fratelli, Luchino Visconti riesce a realizzare un’opera sospesa tra passato e futuro. L’immigrazione e lo sradicamento obbligato delle proprie radici. Ieri, oggi e domani. Alain Delon protagonista di una saga famigliare segnata da povertà e ambizione. Il Re della beltà impegnato in un viaggio all’inferno. Praticamente, una distopia atemporale.
Passa poco tempo allorché Delon “visiti” i labirinti esistenziali di Michelangelo Antonioni. Ne L’eclisse (1962) il magnetismo dell’attore si perde, per somma volontà del Maestro, in un inestricabile coacervo di inquietudini, tenuto per mano da una superba Monica Vitti. E la bellezza, dono divino, non aiuta affatto. Anzi, peggiora le situazioni.
Si ritorna a Visconti, con l’epocale Il Gattopardo (1963) dal celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa. Manifesto politico sul crollo della alta borghesia. La classe sociale che vorrebbe dominare il mondo. Ma lo sfarzo – simboleggiato anche dalla bellezza di Delon – non può certo essere sufficiente. Altra operazione epocale che mette in scena il paese in continuo rapporto con quello di oggi. Gli anni trascorrono bloccati in una eterna cristallizzazione nel nome del Potere. O della propria illusione di esercitarlo.
In ordine temporale il quarto autore a svelare uno dei volti nascosti di Alain Delon è Jean-Pierre Melville. La bellezza si presta ottimamente a divenire glacialità e spietatezza. Nichilismo assoluto nei confronti del mondo circostante. La titolazione italiana di Frank Costello faccia d’angelo (1967) non rende giustizia. Il titolo originale molto di più. Le samourai racconta di solitudine estrema, di conflitto l’essere e il dover essere. Una performance attoriale semplicemente meravigliosa nell’esternare tutto ciò.
Tantissimi film costellano la filmografia di Alain Delon. Molti palesemente commerciali, altri derivativi. Un divo per tutti i gusti: action, melodramma, violenza e superomismo. Ci piace ricordarlo anche per La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini. L’inadeguatezza al vivere espressa in una forma di depressione costante. E un cappotto di cammello del quale il senso di protezione prima o poi terminerà. Grandissimo Cinema. Mentre l’eterno bambino che sopravvive in noi lo ha amato anche in Zorro (1975) di Duccio Tessari.
Un fugace passaggio artistico con Godard (Nouvelle Vague, 1990) e Joseph Losey (lo straordinario Mr Klein, 1976) non cancella l’inutilità di due escursioni di Delon dietro la macchina da presa. Con Per la pelle di un poliziotto (1981) e Braccato (1983) torna su tematiche a lui ben note, senza però imprimere quel colpo d’ala che sarebbe stato necessario a renderle opere in possesso di qualche originalità.
Una parabola amara che si sarebbe poi estesa nella vita reale, tra dissidi familiari e un patrimonio in famelica ricerca di un nuovo padrone. Con Arte e Vita che finiscono col sovrapporsi e confondersi.
The End.
Daniele De Angelis