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Intervista a Dennis Gansel (2009)

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L’incontro col regista tedesco, che all’epoca aveva appena realizzato “L’onda”, avvenuto nel 2009 al Genova Film Festival

Seppur distribuito nelle sale italiane con ben sei anni di ritardo, Le avventure di Jim Bottone ha portato nuovamente sugli scudi il nome di Dennis Gansel. Al promettente cineasta tedesco il Genova Film Festival aveva dedicato, nel 2009, una piccola retrospettiva, motivata anche dall’uscita italiana di un film rimasto per molti di culto: L’onda (2008). In quella occasione lo si era anche intervistato. Ed è alquanto emozionante riproporre ora, integralmente, la stimolante conversazione avuta in terra ligure, ripartendo proprio dalle circostanze a dir poco singolari del nostro approccio al regista.

l nostro incontro con Dennis Gansel, cineasta tedesco ospite del Genova Film Festival, è stato contraddistinto da una disponibilità estrema, anche considerando le particolari circostanze in cui la conversazione ha avuto luogo. Il giovane regista, intorno al quale si è manifestato pure in Italia un certo interesse con la distribuzione del film L’onda (Die Welle, 2008), stava finendo di confrontarsi con la stampa nel locale di Genova scelto per l’evento, Il Sorpasso; e di lì a poco avrebbe dovuto presentarsi al cinema Sivori, per rispondere ad altre domande di fronte alle telecamere della RAI preparandosi nel frattempo a presentare la sua opera al pubblico ligure.
Ebbene, nonostante ciò il prode Dennis Gansel ha accettato senza batter ciglio di realizzare una breve intervista col sottoscritto, sfruttando così il tempo del trasferimento a piedi dal Sorpasso alla suddetta sala cinematografica. In compagnia della fedelissima traduttrice dal tedesco che aveva mediato l’incontro con gli altri giornalisti, ci siamo quindi incamminati per le vie di Genova. Quanto segue rappresenta il risultato della piccola impresa: un’intervista cui è spettato da subito l’aggettivo peripatetica, affibbiato da un drappello di testimoni, in virtù della situazione a dir poco singolare in cui tutto si è svolto.

D: Ero al cinema Sivori e prima di incontrarci ho potuto recuperare un film che hai girato anni fa per la televisione, Das Phantom (2000), in cui a livello di trama abbondano i riferimenti alla terza generazione della RAF. Per quanto riguarda le scelte stilistiche e persino il tipo di sguardo sulla società non mi è sembrato così distante da ciò che hai realizzato successivamente, L’onda ad esempio. Che cosa puoi dirci in proposito?
Dennis Gansel: Das Phantom è un lavoro su cui sono stato per tantissimo tempo, ed oltre all’attore principale, Jürgen Vogel, ha in comune con L’onda il fatto di voler trasmettere un messaggio conquistando al tempo stesso lo spettatore. C’è quindi in comune un messaggio, l’impegno a livello cinematografico e di contenuti, che per L’onda si è poi espresso con una maggiore ricerca delle simpatie del pubblico.

D: Nel tuo cinema mi è sembrato di percepire proprio questo: un abbinamento, fondamentalmente riuscito, di tematiche forti e di un linguaggio cinematografico che risulti appetibile per il grande pubblico.
Dennis Gansel: È esattamente questa la formula che vorrei proporre. Per l’appunto si tratta di applicare al soggetto di turno un linguaggio così diretto, così realistico, che a me può suggerire modelli come JFK di Oliver Stone o I tre giorni del condor di Sidney Pollack: film con un contenuto politico moderno, attuale, che comunque avevano anche una componente notevole di intrattenimento. Venendo ai giorni nostri potrei citare Il divo di Sorrentino. Secondo me è questa la combinazione ideale, cui personalmente aspiro. Occorre cercare il coinvolgimento del pubblico proponendo al contempo dei contenuti.

D: Mi sembra che tu abbia lavorato su una componente di genere e di intrattenimento sin dall’inizio, considerando che oggi in sala prima di Das Phantom è stato proiettato il tuo primo cortometraggio, The Wrong Trip, che con la sua storia paradossale incentrata su un rapinatore può già vantare tali caratteristiche.
Dennis Gansel: In quel caso si è trattato più che altro di un esercizio di stile, dove nel costruire la storia ho cercato soprattutto di evidenziare l’aspetto ironico. L’esercizio che avevo in mente si è perciò espresso nella ricerca di una direzione particolare.

D: Hai citato prima Jürgen Vogel, interprete di notevole bravura che ha lavorato con te più di una volta. Ti piace creare un determinato clima sul set continuando a girare con gli stessi attori?
Dennis Gansel: Lavoro con certi attori perché mi piacciono, in più si è creato un ottimo rapporto sul set, ma ce ne sono altri in Germania come Moritz Bleibtreu con cui di sicuro mi piacerebbe lavorare. Insomma, quelli con cui ho collaborato non sono gli unici cui ho pensato, perché ci sono ancora molte idee da realizzare. Per il resto avrete notato la presenza di alcuni interpreti, oltre a Jürgen, ai quali ho dato fiducia più volte, tra cui c’è anche il giovanissimo Max Riemeltche probabilmente avete conosciuto con L’onda ma che era già tra i protagonisti di NaPolA – I ragazzi del Reich (2004).

D: Ritornando ai temi dei tuoi film, mi sembra che sia già possibile individuare talune ossessioni, come ad esempio quella delle derive autoritarie che si possono sviluppare in un qualsiasi stato democratico. Tutto ciò visto in contesti storici differenti. Sei quindi particolarmente interessato, dal punto di vista cinematografico, alla degenerazione delle istituzioni democratiche?
Dennis Gansel: Di sicuro il tema che tu hai citato è dominante ed è sempre presente nei miei film. Preferisco però vederlo da un altro punto di vista, quello dell’individuo rispetto al gruppo, rispetto alla società; quindi come il gruppo più forte riesca ad attirare a sé l’individuo offrendogli magari una visione alterata, portandolo a vedere le cose in un determinato modo. Perché in fondo è un’esperienza che ho vissuto in prima persona, da adolescente, confrontandomi con la vita. Più in generale si tratta di studiare le dinamiche psicologiche del coinvolgimento del singolo da parte del gruppo presso cui si trova ad agire.

D: E allora, esulando in parte dallo specifico cinematografico, come si sta evolvendo secondo te il rapporto tra individuo e società nel mondo di oggi? Ti ritieni ottimista o pessimista?
Dennis Gansel: Relativamente all’evoluzione della società siamo probabilmente al livello più illuminato conosciuto fino ad oggi e non c’è la preoccupazione realistica di una deriva del genere, in senso autoritario, del rapporto tra il singolo e la società. Però noto quanto possano essere profondi e reali i problemi creati da una crisi, in cui certe dinamiche si rafforzano terribilmente. Ad esempio nel discorso del fascismo si vede chiaramente che quando le crisi aumentano i voti si spostano sempre più verso destra, sicché la reazione a una situazione di crisi si manifesta anche così. E in un periodo come questo, con la crisi alle porte, i fatti non promettono nulla di buono, perciò il rischio che ciò intacchi la natura del rapporto tra il singolo e il gruppo è decisamente reale.

D: Vorrei chiederti, infine, qualcosa sul rapporto tra te e il cinema tedesco, partendo magari dal discorso sul terrorismo che anche tu hai affrontato in Das Phantom. Mi piacerebbe ad esempio sapere come ti poni rispetto a pellicole recenti come La banda Baader Meinhof di Uli Edel o anche rispetto ai classici, come La terza generazione di Rainer Werner Fassbinder.
Dennis Gansel: È assolutamente vero che si possono fare raffronti, per esempio La terza generazione di Fassbinder affronta lo stesso momento storico di Das Phantom ma lo fa da un punto di vista estremamente diverso, il che rende le cose molto interessanti. Ciò riguarda l’intero panorama del cinema tedesco. Abbiamo visto parecchi film sui servizi segreti nella Germania dell’Est, ma c’è un solo Le vite degli altri tra questi. Mi piacerebbe che negli anni a venire i nostri figli facessero qualche altro film sulla Seconda Guerra Mondiale, mostrando un approccio diverso. Ogni generazione muta il proprio punto di vista: mio padre non avrebbe potuto realizzare un film su mio nonno evitando di mostrare soltanto odio, perché mio nonno era coi nazisti, non sarebbe stato facile raccontare la sua storia. Per quanto riguarda La banda Baader Meinhof ritengo che la prima mezz’ora sia fantastica, da lì in poi l’ho comunque apprezzato ma personalmente, per i miei gusti, trovo che l’autore si sia concentrato troppo sul dare informazioni, tant’è che ogni minuto viene introdotto un personaggio nuovo rendendo il plot un po’ arduo da seguire, talvolta. Ripeto che nel complesso mi è piaciuto e di certo ero particolarmente interessato al soggetto, in partenza; per quanto abbia avvertito la mancanza di una presa di posizione su quanto avvenuto in carcere, sul fatto che quelli della RAF si siano suicidati oppure no, come anche su altri episodi legati all’intervento dei servizi segreti che in Das Phantom ho provato, per esempio, a evidenziare. Ad ogni modo so che lui, l’autore, riguardo al destino cui sono andati incontro i membri della RAF non si sente vicino alla teoria della cospirazione, mentre per quanto riguarda me il punto di vista che ho sulla vicenda è un pochino più complicato.

Stefano Coccia

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