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Abracadabra

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VOTO: 7

E se provassimo col filone comico-grottesco?

Accadeva nel (non troppo) lontano 2012 che – sugli schermi cinematografici del Torino Film Festival – veniva proiettato in anteprima italiana quello che è stato definito da molti un piccolo miracolo cinematografico. Il lungometraggio in questione era Blancanieves, dello sconosciuto (almeno fino a quel momento) cineasta spagnolo Pablo Berger, interessante rivisitazione in chiave gotica della celebre favola dei fratelli Grimm, ambientata nell’Andalusia degli anni ’20 e messa in scena con lo stile dei film muti. Sebbene tale prodotto sia stato oscurato dall’immediatamente precedente uscita dell’acclamato (ma anche piuttosto furbetto) The Artist (diretto da Michel Hazanavicious), in molti hanno avuto modo di notare la straordinaria padronanza del mezzo cinematografico del giovane regista, il quale, avendo in mano una storia assolutamente non facile da gestire, ha saputo realizzare un prodotto estremamente raffinato ed impeccabile nella messa in scena, grazie anche ad una regia che tanto sta a ricordare Carl Theodor Dreyer ed alle atmosfere dagli inquietanti rimandi al cinema di Tod Browning. Ora, di certo dopo un esordio del genere chiunque sarebbe stato curioso di scoprire quale direzione avrebbe preso la filmografia di Berger. Ed ecco che, ben cinque anni più tardi, durante la 12° edizione della Festa del Cinema di Roma, viene presentato Abracadabra, nuovo lungometraggio del cineasta spagnolo, con il quale viene completamente abbandonato il filone delle rivisitazioni fiabesche in chiave gotica, per lasciare il posto ad una storia comico-grottesca e piuttosto surreale, con anche una forte componente pulp al suo interno.
Ci troviamo nella periferia di Madrid. Carmen è una casalinga frustrata, che da anni vive una crisi coniugale a causa di un marito scontroso e distratto, Carlos, il cui unico interesse è la squadra di calcio del Real Madrid. Un giorno, durante una festa di matrimonio, l’uomo viene sottoposto ad un esperimento di ipnosi da un parente che si diletta nell’esibirsi in spettacoli di magia. In seguito a tale esperimento, però, le cose prenderanno una piega inaspettata e lo spirito di un pericoloso (ma estremamente gentile e galante) serial killer vissuto trent’anni prima finirà per impossessarsi del corpo di Carlos.
Per le atmosfere, per la regia che tende sapientemente a giocare con sguardi e riflessi e, soprattutto, per la spiccata componente comica e surreale tendente decisamente al grottesco, inevitabilmente questo lavoro di Pablo Berger ci fa pensare ad un Alex de la Iglesia al massimo della forma. L’Alex de la Iglesia di Azione mutante (1993) o di Le streghe son tornate (2013), per intenderci. E, analogamente a quest’ultimo film, anche Abracadabra tende a partire in quarta con una sfilza di gag esilaranti, per poi rientrare nei margini e portare avanti la storia raccontata usando dei toni decisamente più contenuti. Dopo le risate iniziali, infatti, ecco che, pur mantenendo una forte componente ludica, Berger sembra voler quasi dare un attimo di respiro allo spettatore, per poi sviluppare, successivamente, una storia che pian piano sembra sempre più assumere i toni del thriller. Il risultato finale – grazie ad un ribaltamento tanto interessante quanto inaspettato – è un vero e proprio manifesto dell’emancipazione femminile, che, anche nel 2017, risulta sempre attuale ed appropriato. Ovviamente, da grande cinefilo qual è, Berger – pur non avendo dato vita ad un esplicito omaggio al cinema del passato, come è avvenuto per Blancanieves – anche in questo suo ultimo lavoro non ha esitato ad attingere a piene mani da ciò che nei decenni scorsi è stato prodotto. Impossibile, ad esempio, non pensare ad Edipo relitto – fortunato cortometraggio del 1989 firmato Woody Allen e facente parte del progetto collettivo New York Stories – quando avviene l’incidente dopo l’esperimento di ipnosi, o, allo stesso modo, non si può non ricordare il grande Alfred Hitchcock, quando vediamo la macchina da presa giocare con sguardi riflessi su coltelli o con specchi collocati nei punti giusti. Il tutto, però, viene realizzato in modo assolutamente soggettivo, senza mai apparire forzato, ma risultando, al contrario, perfettamente in linea con il resto del lavoro.
Siamo d’accordo, Abracadabra, pur confermandosi un prodotto ben realizzato e ben riuscito, non riesce a reggere il confronto con un lungometraggio come Blancanieves. Ma, d’altronde, un’opera seconda del genere può spesso rivelarsi un’arma a doppio taglio e non sempre è facile mantenersi, nel corso degli anni, sullo stesso livello. Eppure, oltre ad essere un prodotto complessivamente gradevole e ben realizzato, Abracadabra è soprattutto un’ulteriore conferma dell’eccezionale talento di Pablo Berger, il quale ha dimostrato grande abilità nel passare da un registro all’altro restando, ogni volta, perfettamente a proprio agio all’interno del progetto stesso. Cosa, questa, di certo non da tutti.

Marina Pavido

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