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A Story Sewn and Bound with a Red Thread

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VOTO: 9

Nel giardino delle quattro Cenerentole nipponiche suicide

“C’era una volta un uomo che viveva con sua moglie Shuko e le sue quattro figlie: Kasumi, di 14 anni, Sumire di 11, Kikuna di 9 e Nanoka di 7. Shuko era la matrigna delle ragazze. Un giorno l’uomo si ammala gravemente…”
Quella che pare l’inizio di una favola per bambini è la fiaba delicata ed onirica che la regista Yuria Matsushita racconta nel suo A Story Sewn and Bound with a Red Thread, film presentato ad ÉCU – Il Festival del Cinema Indipendente Europeo: una storia cucita e legata con un filo rosso. E il filo rosso, nella tradizione dell’estremo Oriente, ha un significato ben preciso, che deriva dalla mitologia cinese: è il filo invisibile che lega due innamorati destinati ad incontrarsi, due anime gemelle, unite dal vero amore. Il vero amore, nella storia moderna e surreale della Matsushita, punteggiata dai versi surreali del poeta (e regista) Shuji Terayama, rappresentante dell’avant-garde nipponica, è forse quello che lega le quattro ragazze al padre, per il quale, spinte e costrette dalla matrigna, faranno qualsiasi sacrificio, a scapito dei loro sogni e finanche della loro vita.
Ma le favole sono nate per insegnare qualcosa, e quel qualcosa è che non bisogna mai arrendersi e rinunciare ai propri sogni. Nonostante il finale drammatico rimandi al Giardino delle vergini suicide, infatti, A Story Sewn and Bound with a Red Thread è più una libera interpretazione triste della favola di Cenerentola; non ci sono sorellastre, ma quattro sorelle molto unite rimaste sole con la matrigna, donna insoddisfatta della propria vita che ha rinunciato ai suoi sogni e per invidia e gelosia vuole distruggere quelli delle ragazze. In un crescendo drammatico del rapporto tra le due parti, Shuko toglie una alla volta alle figliastre le cose che amano: il pianoforte, il balletto, i sogni artistici e la possibilità di esprimerli, costringendole piuttosto a lavorare senza tregua con il pretesto di aiutare nelle spese per il padre malato, tagliando fiori per ricami. Mentre la donna, adducendo un fantomatico lavoro serale, passa tutte le notti fuori casa frequentando altri uomini, rivendicando a sé una vita non vissuta, le ragazze, prive della possibilità materiale di dedicarsi a ciò che amano, si rifugiano nella fantasia; ecco allora il sogno di Nanoka, un vecchio teatro nel bosco in cui viene rappresentata la favola di Cenerentola, una danza misteriosa, richiami a letteratura e leggende giapponesi come il demone dai 20 volti inseguito dal più grande detective nazionale, Akechi Kogorō (personaggio che fa la sua prima apparizione in The Fiend with Twenty Faces di Edogawa Rampo e diventa poi ricorrente nella narrativa gialla per ragazzi del suo autore, dalle cui storie sono stati in seguito realizzati diversi anime), mentre le visioni oniriche e la realtà si sovrappongono e si confondono in immagini evocative.

Come nel Giardino delle vergini suicide di Sofia Coppola, la decisone finale delle sorelle è priva di scampo: annegare insieme nel fiume, lasciando una lettera in cui spiegano di non aver altra scelta e rivolgono un ultimo appello alla matrigna perché si prenda cura del loro padre. Un finale al tempo stesso drammatico e visivamente delicato, apparentemente senza speranza ma che lascia un messaggio di possibilità per l’unica sorella sopravvissuta.

La regista Yuria Matsushita ha tradotto in immagini la poesia di Shuji Terayama, portando sullo schermo la storia vera da lui descritta in versi di quattro ragazze che fuggono dalla loro triste realtà entrando in un mondo di fantasia ed ambientandola nella bellissima campagna giapponese del periodo Showa (“periodo di pace illuminata” del regno dell’imperatote Hirohito); la leggerezza e la potenza evocativa della sua rappresentazione, unita alla malinconia e delicatezza della storia descritta, portano in scena un mondo di innocenza e sensibilità ed al contempo trasmettono il messaggio della stessa regista volto ad incoraggiare i bambini a sviluppare l propri talenti artistici e creativi e soprattutto a perseguire i propri sogni.

Michela Aloisi

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