Arcipelago Gulag
Concepito come ideale prosieguo di un dittico che segue My Joy, A Gentle Creature, presentato in Concorso al Festival di Cannes 2017, è un nuovo ritratto impietoso di Sergei Loznitsa della società russa e della galassia postsovietica. A Gentle Creature è un viaggio nei meandri della profonda Russia, un road movie nelle viscere dell’impero, o dell’ex-impero. Protagonista è una donna, sola, che vive in un villaggio rurale, che mantiene lo stesso sguardo torvo per tutto il film, che si isola, si astrae dal mondo quando è in mezzo alle persone. Riceve una lettera che aveva inviato al marito detenuto e decide così di recarsi per trovarlo nella sua prigione, in una regione remota della Russia. Il film è in realtà girato in una zona di confine in Lettonia, in un villaggio dove esiste davvero un grande penitenziario. Loznitsa ha anche reclutato dei personaggi reali, come dei secondini.
Ispirato al racconto “La mite” di Dostoevskij, e con reminiscenze anche dei bassifondi di Maksim Gor’kij, espressamente citato nel film, A Gentle Creature si prende i tempi lunghi necessari, seguendo proprio il respiro della grande letteratura russa, fin dal lungo incipit di contemplazione dei campi attorno al villaggio della protagonista. Un film che funziona per stanze e anticamere in un lungo tragitto dalla cittadina rurale della protagonista, fino ad arrivare alle prigioni seguendo una lunga ed estenuante trafila.
Mentre la donna è all’ufficio postale, da un brusio di fondo si odono discorsi sull’America e su Hiroshima e Nagasaki. Segue poi una lunga parte ambientata in un torpedone, che rappresenta uno spaccato della società, una polifonia di personaggi e situazioni. Si arriva poi il calvario del penitenziario, con tutte le sue anticamere. Una cittadella, un golgota alla Piranesi, dove di notte echeggiano ululati. Un maniero oscuro, in cui è facile vedere il corrispettivo di Qualcuno volò sul nido del cuculo, una metafora del paese prigione, nell’annaspare nella burocrazia, nel trionfo del nazionalismo, nella persistenza di Stalin come figura di riferimento all’interno degli ambienti militari e delle forze dell’ordine, in cui si intonano inni al dittatore sovietico. Loznitsa indugia sui dettagli, estenuanti, come le lunghe perquisizioni, i controlli di saponette e dentifricio. Un mondo dove tutto è controllato dall’alto e di nascosto, ma da uno sguardo in realtà assente, quello dell’addetto a monitor delle telecamere di sorveglianza, i 1000 occhi del Dr. Mabuse, che in realtà si distrae giocando. Dove il personale, tra puttane e papponi, si svaga con quel gioco della bottiglia delle nostre adolescenziali memorie. Una roccaforte dall’architettura mista di casermoni e ville blindate. L’arcipelago Gulag, la Siberia, permangono, tra le righe, e in forme neanche tanto dissimili nella descrizione di Sergei Loznitsa.
La grande madre Russia del regista è quella che è uscita dagli ultimi rigurgiti sovietici dopo il colpo di stato fallito, del 1991, che prometteva un uscita dalla dittatura e un radioso futuro in un paese libero. Cosa che il regista racconta nel documentario The Event. Ed è ormai in un mondo che ha dimenticato gli orrori dei campi di sterminio, dove i turisti li visitando rasentando indifferenza, come Loznitsa raccoglie ancora in un documentario, Austerlitz.
Tornato alla fiction si permette un ulteriore sberleffo, quello di concludere il lungo viaggio nei bassifondi della società conducendoci su una carrozza fiabesca in un mondo fatato, in un grande banchetto tra personaggi in costumi colorati. Tra il musical di Pyr’ev e l’anarchia balcanica di Kusturica. Un momento onirico, una fuga da una realtà che stava diventando insostenibile. Ma da cui presto ci si risveglia. Chi dimentica il proprio passato è condannato a riviverlo e la Russia che emerge da A Gentle Creature, tra nazionalismo, xenofobia, stalinismo, è la drammatica conferma.
Giampiero Raganelli