Il vento ci porterà via
Presentato come evento speciale del 70° anniversario al Festival di Cannes, 24 Frames è un’opera postuma di Abbas Kiarostami, un dialogo tra le arti, fotografia, cinema, pittura, poesia, in cui il poliedrico cineasta iraniano si era cimentato. Un’opera sublime che diventa il lascito multiculturale di un grande artista.
Si comincia con la pittura, con il quadro “I cacciatori nella neve” di Bruegel, opera del 1565 che contiene alcuni principi del linguaggio cinematografico come il fuori campo, il corpo del maiale macellato, la profondità di campo, nel diradare dai laghetti ghiacciati dove si pratica il pattinaggio, fino al paesaggio, sempre innevato. Una veduta che è assimilabile a quelle che il regista ha sempre inseguito, con il suo cinema e la sua fotografia. Quei paesaggi brulli di Il sapore della ciliegia e Il vento ci porterà via, in cui emergono maestosi alberi isolati. Quelle geometrie spaziali che Kiarostami aveva ritrovato in Toscana, in Copia conforme, la natura ammaestrata dall’azione dell’uomo a ricreare la prospettiva pittorica con i filari di cipressi. Prospettiva che, come noto, si prende la rivincita nelle arti visive del Novecento, proprio con la fotografia e il cinema. Sul contrasto primo piano/campo lungo si gioca anche, come intuito da Franco Piavoli, “L’infinito” di Leopardi (questa siepe/interminati spazi), e anche i 24 segmenti di Kiarostami seguono lo stesso principio, come vedremo.
Il quadro di Bruegel viene animato digitalmente in modo progressivo, fino a trasformarsi in fotografia e cinema. Proprio sul dialogo tra l’immagine fissa e quella in movimento si gioca questo lavoro postumo di Kiarostami. 24 segmenti, caratterizzati da un’inquadratura fissa, lo stesso numero dei fotogrammi al secondo che creano l’illusione di movimento allo scorrere della pellicola cinematografica. Ognuno di questi brevi filmati parte da una fotografia del regista, presa dal suo vasto repertorio, costruendo e animando situazioni che precedono e seguono quel fotogramma. Il cinema, l’immagine in movimento, si costruisce in più dimensioni. Difficile dire dove cominci il reale e dove finisca la costruzione digitale in 24 Frames. Tutto fa pensare a un predominio della seconda, per la perfezione e sincronia con cui avviene il tutto e per il fatto che gli animali presenti in quasi tutti i frammenti, non possano essere messi in posa e manipolati così al centimetro. Tra i titoli di coda compaiono comunque addestratori di animali. La costruzione dell’immagine con il digitale, ci porta in ogni caso a una pratica che si avvicina, e ritorna alla pittura, o al cinema d’animazione, laddove i pixel sostituiscono pennellate, pastelli e via dicendo. Con 24 Frames, Kiarostami eleva a un altissimo rango artistico la pratica digitale normalmente usata per i più dozzinali carrozzoni blockbuster.
Tra le forme d’arte che Kiarostami ha frequentato, ci sono anche le videoinstallazioni. Con 24 Frames realizza qualcosa che si avvicina e allontana, allo stesso tempo, da questa pratica. Se l’installazione deve in qualche modo dialogare con il contesto, attraverso una cornice, qui Kiarostami utilizza una serie di cornici interne, di re-cadrage, di iscrizioni dell’immagine in quadri. Che contengono animali, paesaggi naturali, tableau vivant. Staccionate, balconate, barriere, graticole, finestre, ante di finestre. Ancora il contrasto primo piano/campo lungo. Ancora la natura imbrigliata e pettinata come nella campagna toscana. Fino a chiudersi, nel 24° frame, con un’immagine secondaria che torna a essere quella del cinema, con cui congedarsi con il canonico “The End”. E il fuoricampo torna nel penultimo momento, dove un uccellino cinguetta su una catasta di legna, con alle spalle due alberi, che, con un rumore forte di motosega, a turno cadono.
Paesaggi visti da lontano, cavalli che galoppano in un bosco innevato, corvi, leoni e lupi, la Torre Eiffel nella nebbia. Come nella pittura zen giapponese, vedi il classico “I pini nella nebbia”, opera del XVI secolo di Hasegawa Tōhaku, che si basa sul concetto di vuoto che è anche un pieno. Come le poesie di Kiarostami che sono dei componimenti come gli haiku e i waka. Così i 24 frames palpitano di quel concetto estetico dell’antico Giappone denominato yūgen, che vuole che i sentimenti più profondi non siano espressi, ma solo suggeriti da allusioni, come delle armonie in una melodia. In modo da rendere la poesia delle cose, la loro eleganza innata.
Per qualcuno / la vetta / è terra di conquista / per la vetta / è terra di neve (Abbas Kiarostami)
Giampiero Raganelli