Una storia di coraggio
La Festa del Cinema di Roma 2019 si è ormai conclusa, ma i lungometraggi che hanno fatto tappa alla rassegna romana non smettono di stupirci. Stavolta è il turno di 438 Days ad essere presentato alla Festa, ritagliandosi una buona fetta di critiche positive per la storia narrata al suo interno.
438 Days si basa su una storia realmente accaduta. Le vicende narrate nel film riguardano la drammatica storia vissuta da due giornalisti cooperanti internazionali svedesi. Una storia che ha scandalizzato l’opinione pubblica dando il via ad una serie di contro eventi nella sfera politica svedese, così come in quella etiope, luogo, quest’ultimo, dove il film è maggiormente ambientato; e dove Martin Schibbye (Gustaf Skarsgård) e Johan Persson (Matias Varela) hanno sopportato 438 giorni di prigionia. Le vicende dei due giornalisti infatti, sono state rese note subito dopo la loro liberazione da parte del governo etiope che li aveva condannati, ingiustamente, per essere entrati illegalmente nel paese ed aver compiuto atti di terrorismo. E’ ovvio come il tutto sia stato riscostruito dal governo e dai militari etiopi. La presenza dei due cronisti infatti, non era esattamente desiderata vista la situazione politica dittatoriale in cui versava lo stato africano. Il film non si preoccupa minimamente di mantenere uno status neutrale. L’opera del regista Jesper Ganslandt si prende la briga di raccontare con spicco le vicende scorrette, vissute dai due protagonisti, e la loro disumana prigionia durante la quale il loro animo, ed il loro spirito, viene costantemente messo a dura prova. La forte esperienza che si prova guardando il film, sta tutta nella drammaticità dei contenuti e nella performance dei due bravi attori capaci di rendere quanto più realistica l’esperienza della detenzione. Il regista svedese non ha però risparmiato delle feroci critiche al sistema diplomatico svedese che, finché ha potuto, ha preferito mantenere le relazioni col governo etiope solo per futili motivazioni economiche, abbandonando i due a loro stessi. Il film prende anche in considerazione i modi disumani dell’esercito etiope della regione dell’Ogaden, i quali calpestano violentemente quei diritti fondamentali che ha la persona umana. Una storia che ha al suo interno tutti gli ingredienti necessari per porre il pubblico in uno stato di forte preoccupazione (specie chi non conosce la storia), gettandolo in un pericoloso spaesamento simile a quello vissuto dai due interpreti. Soltanto il coraggio per la ricerca di una giusta verità e l’amore per i propri cari consentirà a questa storia un lieto fine che ha avuto importanti conseguenze storiche anche per la rinascita di uno stato come l’Etiopia.
Stefano Berardo