Una vita spezzata
A dispetto delle previsioni che vedevano titoli ben più gettonati e altisonanti partire in pole position per la vittoria del Premio del Pubblico BNL della 14esima edizione della Festa del Cinema di Roma, a imporsi al fotofinish è stato invece Santa subito, il documentario che Alessandro Piva ha dedicato a Santa Scorese e alla sua drammatica vicenda. Una storia, la sua, che ha scritto una delle tante pagine di cronaca nera del nostro Paese che, pur essendo una storia vecchia di 30 anni, è ancora purtroppo molto attuale per via del tema sul quale punta l’attenzione, ossia il femminicidio.
Le lancette dell’orologio ci riportano nella Bari di fine anni Ottanta. Santa ha poco meno di vent’anni e come ogni ragazza custodisce sogni e apprensioni, che affida al suo diario. Nel suo cuore ardono fede cristiana e fame di vita: è ferma nel voler assecondare la sua vocazione spirituale, non prima però di aver conseguito la laurea, come ha concordato con i suoi. Qualcuno però si intromette tra Santa e le sue aspirazioni. Un uomo incrociato per caso negli ambienti parrocchiali prende a farle appostamenti, a inviarle lettere deliranti, a pedinarla ovunque per tre lunghi anni, proseguendo di fatto indisturbato nonostante le ripetute denunce. Il 15 marzo del 1991 tredici coltellate mettono fine alla vita di Santa. Si sarebbe potuto evitare un epilogo come questo? All’epoca no, perché le varie denunce depositate a carico del carnefice nei tre anni di persecuzione che hanno preceduto l’efferato delitto, della quale si conosce identità, generalità e problematiche mentali ma che resta comunque senza nome, non servirono assolutamente a nulla cadendo nel vuoto a causa della mancanza di una legislatura specifica in merito. Esistevano infatti leggi che punivano le violenze in ambito domestico ma nulla che concentrasse l’attenzione sui reati di genere e lo stalking. Un finale già scritto, dunque, per un reato di stalkeraggio prima che esistesse la parola ‘stalker’ e lo stesso reato.
Piva torna in Puglia per rendere giustizia alla memoria di una ragazza strappata letteralmente alla vita e a quella dei suoi affetti. In tal senso, Santa subito non è solo una biografia brutalmente interrotta in una giornata di follia e di sangue che si riversa nella cronaca di un delitto, ma anche un film sul dolore di chi resta tra senso di colpa e impotenza per non avere potuto impedire il tragico epilogo. E, infatti, la pellicola del cineasta salernitano ci mostra e ci racconta di una ferita mai cicatrizzata che, nonostante non sanguini più, non ha a distanza di decenni dagli accadimenti smesso di fare male. L’autore rimette insieme i tasselli e lo fa attraverso le parole, i ricordi e le riflessioni dei parenti più stretti, dei conoscenti, degli amici e delle figure religiose che hanno accompagnato l’esistenza della protagonista sino all’ultimo respiro.
Attraverso un coro di voci composto da una raccolta di testimonianze frontali si delineano gli highlights dei fatti principali e al contempo il percorso umano e identitario di Santa, costellato da passaggi emotivamente toccanti che lasciano il segno (su tutti il racconto delle ultime ore della ragazza e dell’aggressione fatale che ne ha causato il decesso). Il che restituisce in maniera equilibrata tanto la dimensione esistenziale quanto quella più meramente divulgativa. Il tutto converge in un’architettura classica nella confezione e nel modus operandi con cui viene disegnata la narrazione, con un’innesto di materiali fotografici, repertori audiovisivi, documenti ed estratti epistolari (letti in voice over) che vanno a comporre una progressione lineare, semplice, basilare e funzionale per quello che era l’obiettivo prefissato da un progetto che va nella direzione di format come Amore criminale.
Questo per dire che Santa subito è un prodotto fatto con rispetto e sincerità, utile alla causa e per ricordare che quello del femminicidio è un problema che ha radici piantate nel passato. Se adesso è stato fatto qualcosa in merito per provare ad arginarne gli effetti, anche se ogni giorno si legge di nuovi casi alle diverse latitudini, è perché ci sono state tragedie come quelle di Santa. Ben vengano allora opere come queste che ci rammentano che c’è ancora tanta strada da fare per impedire che che quello che è successo trent’anni fa alla protagonista e a tante come lei smetta di accadere.
Francesco Del Grosso