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35 Cows and a Kalashnikov

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VOTO: 8

La sua Africa

Tra i momenti emotivamente di maggior spessore del festival che abbiamo seguito al Teatro Palladium, Visioni Fuori Raccordo, si è distinta senz’altro la presentazione di 35 Cows and a Kalashnikov. Ad accompagnare il film non vi era il regista tedesco Oswald von Richthofen, bensì sua moglie. E il motivo è stato ben presto svelato: nel video mostrato poco prima che la proiezione avesse inizio lo stesso Oswald von Richthofen, evidentemente già molto malato, ha voluto registrare un saluto ai futuri spettatori del suo film, consapevole che quel male incurabile lo avrebbe portato via di lì a poco.
C’è quindi una vicenda singolare che fa da cornice a questo meraviglioso documentario. Anzi, le storie interessanti sembrerebbero essere più di una. A cominciare dal fatto che il film sia stato prodotto da un grosso calibro come il connazionale Roland Emmerich. Potrebbe suonare strano che a sostenere un prodotto così “arty” sia stato un simile cineasta, cui si devono alcuni dei blockbuster più grossolani realizzati a Hollywood negli scorsi decenni. La verità è che Oswald von Richthofen ed Emmerich erano amici, sin da quando si trovarono a frequentare gli stessi corsi di cinema. E a quanto pare questa amicizia è rimasta intatta nel tempo. Mentre Emmerich aveva successo negli States, il meno conosciuto sodale portava avanti una carriera senz’altro meno appariscente, che è però sfociata in questo magnifico lavoro sull’Africa, non alieno poi da determinate circostanze biografiche: nel corso della sua vita Oswald von Richthofen ha vissuto spesso lontano dalla Germania, ed uno dei luoghi cui è rimasto maggiormente legato è per esempio Khartoum.

Realizzato con l’appoggio fondamentale del direttore della fotografia Gernot Aschoff, 35 Cows and a Kalashnikov è stato ispirato almeno nelle fasi iniziali dalla forte impressione che una mostra dedicata alle tribù della Omo Valley, nel sud dell’Etipia, seppe destare nel film-maker tedesco. Le foto relative alle antiche tradizioni (contaminate però da un nuovo status symbol: il kalashnikov) portate avanti in quei luoghi remoti lo avevano enormemente suggestionato. E difatti fu proprio quella la loro prima destinazione!
Ma Oswald von Richthofen l’Africa l’aveva già girata parecchio, per cui a quel primo segmento ne ha voluti accostare altri due, altrettanto suggestivi. Il secondo è un vivace, intenso ritratto dei pittoreschi Sapeurs di Brazzaville, nella Repubblica del Congo. La Sape (Société des Ambianceurs et des Personnes Élégantes) è una tradizione di conio recente, importata in Africa dopo la Seconda Guerra Mondiale da giovani che erano stati militari in Europa ed erano rimasti stregati dalla moda francese dell’epoca. Il risultato è che oggi per le vie di Brazzaville passeggiano tranquillamente neri dal vestiario ricercato e pronti a esibire atteggiamenti da dandy, che costituiscono un po’ per tutti il vanto del paese. Il terzo segmento ci porta invece a Kinshasa, sulle tracce dei non meno eccessivi e inconfondibili campioni delle locali gare di wrestling. Anche qui una straordinaria galleria di personaggi: dagli inquietanti wrestlers-stregoni che parlano disinvoltamente di magia a Texas, il lottatore albino, oppure alla massiccia lottatrice donna che non ha timore di sfidare i maschi.
Non così diversamente da Il sale della terra di Wim Wenders e dalle foto del suo ispiratore Salgado, anche in 35 Cows and a Kalashnikov sono la plasticità dei corpi, l’intensità dei gesti e la forza dei primi piani a soggiogare lo sguardo. Ma a completare tale fascinazione, oltre che a lasciare un gran bel ricordo dello scomparso Oswald von Richthofen, è in fin dei conti il ritratto del continente così appassionato, potente e fuori dagli schemi, che l’autore ci ha lasciato. Quella che vediamo è davvero la sua Africa.

Stefano Coccia

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