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Citizen of a Kind

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VOTO: 8

La cittadina modello contro i geni (perversi) della truffa

Il secondo lungometraggio proposto durante la serata inaugurale del Far East Film Festival 2024, Citizen of a Kind della regista coreana Park Young-yu, ha decisamente centrato il bersaglio. Lambendo temi attualissimi, ma da una prospettiva alquanto originale; un’angolazione tale, cioè, da far procedere di pari passo l’avvincente drammatizzazione degli eventi, certi crudi elementi di genere, qualche sapido spunto di satira sociale e la cura della cornice antropologica. Pur essendo stata romanzata a dovere, c’è infatti una vicenda reale alla base di questo film ambientato tra Cina e Corea del Sud.

L’eroina cui si allude nel titolo, Deok-hee (impersonata da una combattiva, grintosa Ra Mi-ran) è una delle tante vittime nel mondo di truffe telefoniche così gravi da creare alle persone gravi problemi economici ed esistenziali, mettendo talora a rischio l’esistenza di intere famiglie. Un argomento che di recente è stato sviluppato anche nel film scelto per rappresentare la Bulgaria agli Oscar, Blaga’s Lessons di Stephan Komandarev. Ma, sul piano del revenge movie nudo e crudo, ossia di un cinema di intrattenimento tosto, ben congegnato, anche l’adrenalinico e iper-violento The Beekeeper di David Ayer aveva finito per proporci una storia simile.
Ecco, rispetto all’action movie anericano si potrebbe scherzosamente affermare che il personaggio di Deok-hee svolga in Citizen of a Kind sia il ruolo della vittima che quello di Jason Statham, il vendicatore dall’uccisione facile ma con l’hobby dell’apicoltura!

Naturalmente non è a colpi di arma da fuoco o facendo ricorso alle arti marziali che l’eroina coreana otterrà giustizia, bensì attraverso la propria costanza, il coraggio, la differente visione etica, l’incorruttibilità e l’aiuto di altre figure interessate a compensare la plateale ingiustizia da lei subita: dalle colleghe di lavoro fino a uno dei giovani coreani attirati in Cina con l’inganno e resi complici di quelle truffe milionarie attraverso la coercizione, la minaccia, l’utilizzo di una violenza incontrollata e feroce. A ben vedere procedimenti molto simili a quelli che regolano il traffico di droga e lo sfruttamento della prostituzione. Questo “controcampo” su un mondo livido e senza pietà alcuna rappresenta una delle tante scelte indovinate a livello narrativo. Introducendo, poi, anche quella chiave noir così ben gestita nella trasferta cinese delle indomite eroine. Del resto Park Young-yu è abile nel cambiare tono di continuo, conservando comunque il giusto pathos e mantenendo alta l’attenzione dello spettatore fino alla fine.

Stefano Coccia

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