Non ci resta che vincere
L’immaginazione spesso supera la realtà, altre volte invece quest’ultima con certe vicende al limite dell’impossibile può di gran lunga non avere bisogno della prima. La riprova ci viene dall’incredibile impresa compiuta dall’unità speciale Alpha 595 guidata dal Capitano Mitch Nelson, partita volontariamente per l’Afghanistan all’indomani degli attentati dell’11 settembre. 12 uomini in missione nella terra più pericolosa del mondo dovettero affrontare 50.000 talebani, combattendo contro carri armati e lanciarazzi in un territorio controllato dai fondamentalisti. Per sopravvivere una sola possibilità: vincere. In quell’inferno, l’unità si trovò ad affrontare una battaglia epica e spettacolare, che portò il Capitano Mitch e i suoi uomini a cambiare la storia.
Si fa davvero fatica a credere che quanto portato sul grande schermo da Nicolai Fuglsig con 12 Soldiers non sia il frutto della penna dello sceneggiatore di turno, eppure quanto narrato nell’opera seconda del regista danese (suo lo Sci-Fi ancora inedito in Italia dal titolo Exfil) è la trasposizione cinematografica, ovviamente romanzata, di quanto realmente accaduto a quel manipolo di temerari eroi di guerra. Fatti, quelli che li videro protagonisti, già raccontati da Doug Stanton sulle pagine di “Horse Soldiers”, alle quali il premio Oscar Ted Tally e Peter Craig si sono basati per dare forma all’esiguo tessuto narrativo e drammaturgico del film in questione. Una sostanza che come avrete modo di vedere con i vostri occhi non va oltre lo stretto necessario, ossia quello utile a cucire quel poco di plot che serve a dotare la pellicola della sua scheletrica architettura, spalmata su una timeline eccessivamente dilata e spinta inutilmente oltre le due ore.
Vero o immaginifico, cinematograficamente parlando, il risultato dunque non riesce a bypassare la mera cronaca di quell’impresa, che ha sì il merito di riportare a galla quelle gesta e rendere il giusto tributo a coloro che le portarono a termine, ma che a conti fatti regala emozioni con il contagocce e sporadici momenti di introspezione (il pensiero che va alla propria terra e alle rispettive famiglie), che vanno di pari passo con altrettanti timidi tentativi di entrare in relazione con gli stati d’animo dei personaggi, diversi dalla paura per quello che si trovano ad affrontare. Insomma, esattamente il contrario di quanto sono riusciti a fare invece, restando al recente passato, Clint Eastwood nel suo dittico Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima, oppure Mel Gibson in Hacksaw Ridge e Kathryn Bigelow con The Hurt Locker prima e Zero Dark Thirty poi, nei quali i colleghi di Fuglsig sono riusciti a combinare alla componente spettacolare una matteria drammaturgica decisamente più stratificata e palpabile. Di conseguenza, ciò che scorre sullo schermo non è altro che l’ennesima odissea bellica, che trasuda a distanza di anni dai fatti reali ai quali si ispira l’inevitabile mix di patriottismo, epica, sacrificio e coraggio da vendere. Il tutto condito dalle immancabili scene dal forte impatto visivo che consegnano alla platea dosi massicce di adrenalina (vedi lo spettacolare conflitto a fuoco finale nel passo Tiangi che vale quantomeno il prezzo del biglietto), che quando c’è Jerry Bruckheimer in prima linea sul fronte produttivo non possono mancare per nessuna cosa al mondo.
Francesco Del Grosso