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Un appuntamento per la sposa

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VOTO: 7.5

Un miracolo di matrimonio

Definire Un appuntamento per la sposa – seconda opera di finzione della regista israeliana Rama Burshtein dopo l’intenso La sposa promessa (Fill the Void, 2012), presentato alla Mostra del Cinema di Venezia al pari di questo – una commedia divertente e scacciapensieri può dare adito a qualche equivoco di fondo. Ciò perché, pur rappresentando sullo schermo le buffe vicende di una trentacinquenne il cui fidanzamento entra in crisi irreversibile a poche settimane dalle nozze, la cineasta mantiene intatto, similarmente all’opera precedente, il suo sguardo assai denso di sfaccettature rivolto all’universo femminile. Le peripezie della sventurata Michal (questo il nome della protagonista, assai ben interpretata da una eccellente Noa Koler, la quale riesce ad essere al contempo profondamente ingenua e altrettanto determinata) altro non rappresentano che un viaggio approfondito all’interno di una psiche femminile del tutto particolare poiché priva di ipocrisie. Michal è sincera, diretta, non conosce altro mezzo di comunicazione che dire e sentirsi dire la verità. Non importa se difficile da accettare. Esponendosi così, senza difese per cosi dire “immunitaria”, alle violente intemperie della vita. La macchina da presa della Burshtein, filtrata da uno stile iperrealista solo in apparenza, ne osserva le poche gioie e le tante delusioni pedinandola in maniera speculare a quelle che sono le caratteristiche di un personaggio costantemente borderline tra fame esistenziale e depressione incombente. Una volta separatasi dal fidanzato per dichiarata assenza d’amore da parte di lui – in seguito sentimentalmente accasatosi, beffa delle beffe, con una sua coinquilina e amica – Michal mantiene la data del ricevimento nuziale convinta, con l’aiuto della fede in Dio, di riuscire a trovare un altro uomo da sposare in quel breve lasso temporale.
Tra incontri surreali e dialoghi intrisi di amaro umorismo alla Todd Solondz, sebbene distanti dal conclamato disincanto dell’autore di Happiness (1998), Rama Burshtein riesce nell’impresa – ormai purtroppo desueta nel cinema contemporaneo – di far scattare nel pubblico la scintilla dell’empatia nei confronti di un personaggio femminile capace di “terrorizzare” l’altro sesso per il solo fatto di dire le cose esattamente come lei le vede. Esemplare, in questo senso, l’incontro con un potenziale candidato al matrimonio sordomuto, alla presenza di un traduttore. Alla domanda di lui sui motivi per cui aveva già rifiutato di incontrarlo in passato sempre per mezzo di una sensale di matrimoni, Michal risponde candidamente di aver infine accettato solamente per disperazione. Non resta che immaginare il finale di una serata di questo tipo…
E tuttavia Un appuntamento per la sposa – il titolo internazionale Through the Wall rende meglio il tono del film, oscillante tra spontaneo umorismo ed improvvise istantanee di disperazione – non si limita ad uno scandaglio addirittura sin troppo coinvolto e minuzioso della poliedrica personalità del personaggio principale: con un finale magicamente sospeso in uno stato semi-onirico, la Burshstein regala allo spettatore un’ultima inquadratura rivelatrice sul reale stato di Michal, destinata a far rileggere nuovamente l’intero lungometraggio sotto una luce completamente differente. Ad ulteriore conferma di una capacità, da parte della cineasta israeliana, di realizzare ottimo cinema in grado di far svolgere a chi lo guarda l’ardita operazione di decostruzione e successiva ricostruzione dell’oggetto filmico in questione secondo la propria, soggettiva, sensibilità. Un meccanismo di perfetta identificazione, riservato non solo ad una platea femminile, messo in atto con raffinata abilità nel corso di un’opera destinata a tutti coloro felicemente disposti ad accettare le cosiddette “regole del gioco” in questione. In quel caso Un appuntamento per la sposa, oltre a risultare un’opera assolutamente godibile, resterà ben vivo nella memoria cinefila anche a distanza di tempo dalla visione.

Daniele De Angelis

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