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La zona d’interesse

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VOTO: 8

Due realtà

Un regista che non finisce mai di sorprendere, l’inglese Jonathan Glazer. Già, perché, di fatto, solito puntare tutto su una straordinaria potenza visiva (ulteriormente valorizzata da un tanto sapiente quanto raffinato utilizzo delle musiche), il cineasta, nel corso degli anni, ci ha regalato delle vere e proprie esperienze visive, studiate fin nel minimo dettaglio e in grado di colpirci, di annichilirci, di toccarci ogni volta nel profondo. Stesso discorso, dunque, vale per The Zone of Interest (per l’uscita italiana La zona d’interesse), presentato in anteprima mondiale in concorso al Festival di Cannes 2023, dove si è aggiudicato il prestigioso Grand Prix. Un premio, il presente, decisamente meritato, sebbene, data la particolarissima messa in scena adottata, inizialmente si sarebbe potuto ipotizzare addirittura un premio alla Miglior Regia. Ad ogni modo, il lungometraggio è stato in grado di mettere d’accordo (quasi) tutti, nel bene e nel male. Vediamo, nello specifico, come.

L’intera vicenda, dunque, si svolge nelle strettissime vicinanze del campo di concentramento di Auschwitz. In una lussuosa villa abita il comandante Rudolf Höss (impersonato da Christian Friedel), il quale, insieme a sua moglie Hedwig (di nuovo una straordinaria Sandra Hüller, che già tanto successo ha riscosso, sempre a Cannes, in Anatomy of a Fall, vincitore della Palma d’Oro), sogna di costruire per i propri bambini un mondo ideale, fatto di gite al lago, allegre scampagnate e picnic nel lussuoso giardino della villa stessa. Una realtà, la presente, che, come ben possiamo immaginare, stride fortemente con ciò che, nel frattempo, sta accadendo proprio vicino casa loro. Per quanto tempo potrà durare questo mondo illusorio?
Immagini di allegre famigliole che si preparano a una gita domenicale, insieme a una fotografia dai colori caldi e pastello, quasi ci dà l’impressione di trovarci all’interno di un dipinto di Édouard Manet. Tutto sembra quasi appartenere a una dimensione senza tempo. Troppo irreale per essere vero? Indubbiamente. E infatti, ben presto, la cruda realtà si fa sentire. E fa male come un pugno allo stomaco.
Non soltanto, dunque, i discorsi dei protagonisti e brevissimi inserti musicali in cui il quadro diviene completamente bianco, ma tanti piccoli indizi ci fanno immediatamente comprendere quanto la realtà rappresentata sia, in realtà, piuttosto effimera. Hedwig è, di base, nervosa. Troppo nervosa. E non fa altro che sfogare il proprio nervosismo sui domestici. Poi, lentamente, la macchina da presa di Jonathan Glazer inizia a rivelarci ciò che non vorremmo mai vedere. Già, perché, di fatto, i forni crematori che svettano imponenti proprio di fronte alla villa fanno letteralmente venire la pelle d’oca. Proprio come la fotografia che, lentamente, inizia a essere virata al grigio.
Glazer sa bene il fatto suo e sa ancora meglio come gestire tempi e angolazioni al fine di far precipitare anche noi in quel buco nero in cui sembra precipitare lo stesso Höss, quando lo vediamo, dall’alto, quasi sprofondare nell’ombra, nel momento in cui si accinge a scendere lungo una vertiginosa scalinata a chiocciola. The Zone of Interest, dunque, è regia allo stato puro. Puro cinema, che non ha quasi bisogno di parole per arrivare a noi in tutta la sua potenza. Le immagini parlano da sé. E, spesso e volentieri, sanno fare molto e molto male.

Marina Pavido

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