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Le deuxième acte

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VOTO: 7.5

I binari del cinema e della vita

Due personaggi, David e Willy, fanno una lunga passeggiata su una spiaggia. Un interminabile piano sequenza come carrellata su di loro. I due amici stanno facendo una chiacchierata rispetto a prospettive di vita. David porta Willy a un incontro con la fidanzata Florence, che lui in realtà non ama veramente e vorrebbe scaricare, confidando che l’amico faccia colpo su di lei, in modo da uscire dalla situazione senza colpo ferire. Durante la passeggiata i due ammettono la consapevolezza di essere filmati in quel momento, coscienti della presenza del dispositivo cinematografico. Una coscienza metalinguistica, poi ampiamente sviluppata, con cui si apre l’ultima opera di quell’enfant terrible del cinema francese che è Quentin Dupieux, Le deuxième acte, film d’apertura del Festival di Cannes 2024. A seguito di quella prima scena ne segue un’altra, ancora una passeggiata con gli altri due protagonisti, Florence con il padre Guillaume. La ragazza è invece innamorata di David che vuole far incontrare e presentare a suo padre in modo da solidificare e ufficializzare il loro legame. I due tragitti convergono verso il ristorante dove avverrà il loro ritrovo, un ristorante spoglio e sobrio dal significativo nome di “Le deuxième acte”.
Non è la prima volta che il regista, e musicista, francese gioca con la decostruzione dello spazio finzionale. In epoca recente aveva realizzato Yannick, di ambientazione teatrale, incentrato sulla rottura della quarta parete, con l’irruzione su un palcoscenico teatrale, mentre è in corso una rappresentazione, di uno spettatore insoddisfatto della qualità del lavoro degli attori. Passare dal più schematico teatro al cinema, comporta per Dupieux un salto in una maggiore complessità della settima arte, estremizzando le vie di fuga reciproche tra rappresentazione e realtà. Il cinema ha assorbito l’approccio alla realtà del teatro occidentale, europeo, l’approccio rappresentazionale, quello in cui vengono fatti tutti gli sforzi per convincere il pubblico che il palcoscenico non è un palcoscenico e l’attore non è un attore bensì un personaggio, facendo abbandonare gli spettatori nella sospensione dell’incredulità. Con Le deuxième acte, Quentin Dupieux sembra voler imprimere al cinema la concezione opposta di teatro presentazionale, ovvero quello in cui l’attore non perde la sua identità di attore, il pubblico non lo considera come una persona reale, ma come un attore recitante. E così i nostri quattro personaggi, grandi attori quali Léa Seydoux, Vincent Lindon, Louis Garrel, Raphaël Quenard, entrano ed escono in continuazione dai loro ruoli, per tornare a essere persone reali, attori. Parlano delle proprie migliori interpretazioni, citano a esempio Mel Gibson come James Cameron, parlano dei dumb movies e degli indie movies. E c’è chi è voluto da Paul Thomas Anderson nel suo prossimo film. Paradossali davvero risultano le raccomandazioni a essere professionali.
Una pistola irrompe anche in Le deuxième acte, dopo quella con la quale lo spettatore di Yannick minacciava i teatranti. È quella dell’oste maldestro della locanda, ovvero dell’attore comprimario che lo interpreta, che non riesce nemmeno a versare il vino nei bicchieri perché gli viene la tremarella. Se ne va in macchina impugnando il revolver e sparandosi. Un gesto che è un topos del teatro, si pensi al finale del Gabbiano di Chekhov, o del cinema che guarda al teatro, come il momento finale del colonnello Ehrhardt di Vogliamo vivere! di Lubitsch, ancora un viraggio nella farsa. E Dupieux raffredda ancora il tutto. Non c’è da preoccuparsi, dicono i commensali, fa parte del film. E in effetti quel primo sparo rivelerà presto il suo carattere finzionale. Quentin Dupieux recupera la genialità e la brillantezza di grandi autori di commedie che già ragionavano sul metalinguaggio, come Woody Allen nella sua commedia teatrale Dio, oppure in La rosa purpurea del Cairo. La scena del trailer di Le deuxième acte richiama espressamente a una scena di quest’ultimo film, quella in cui i vari personaggi/attori rivendicano la centralità del proprio ruolo. Ma si pensi anche a tanti momenti nei film di Mel Brooks. Dupieux attualizza le riflessioni di quegli autori inserendo anche il concetto di intelligenza artificiale. E il suo non è un semplice giochino, come poteva essere per altre sue opere. Il primo atto è un movimento, il secondo atto, indicato come tale anche dal titolo del luogo in cui ci si trova, una stasi. Poi il terzo atto è un nuovo movimento, secondo nuove combinazioni, che rappresentano le diverse possibilità combinatorie nell’amore, degli orientamenti sessuali e nella vita. Le deuxième acte si chiude con uno spiazzante epilogo: ancora una lunga ripresa del binario di un carrello, verosimilmente quello usato per le lunghe scene delle passeggiate sulla spiaggia. Potrebbe essere una semplice esibizione del profilmico, ovvero di ciò che non può entrare in un’inquadratura, come i binari dei carrelli. Si potrebbe anche pensare a una mdp rivolta all’incontrario ma l’inizio della ripresa, che è aerea, fa capire che non è fatta dalla stessa mdp che viaggia sui binari. Le rotaie rappresentano i tragitti del cinema e della vita, che possono sembrare univoci ma in realtà si possono percorrere in un senso o nell’altro, e il carrello può essere rivolto in vari sensi e direzioni.

Giampiero Raganelli

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