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VOTO: 5

Faust tra etere e scienza

Sin dai primi anni dall’invenzione, da parte dei fratelli Lumière, del cinematografo, ci sono state presentate tante e tante versioni del Faust, celeberrimo racconto popolare tedesco le cui trasposizioni letterarie a noi più note sono quella di Johann Spies e di Johan Wolfgang von Goethe. Se, infatti, per quanto riguarda la settima arte, nel 1913 Paul Wegener ci presentava la sua versione ne Lo studente di Praga (co-regia con Stellan Rye), aprendo ufficialmente la fortunata corrente cinematografica dell’Espressionismo (culminata nel 1920 con Il Gabinetto del Dottor Caligari di Robert Wiene), appena tredici anni più tardi, nel 1926, Friedrich Wilhelm Murnau ci regalava il suo personale adattamento, altrettanto valido dal punto di vista cinematografico. Dopo di loro, numerosi saranno i cineasti a cimentarsi con tale racconto, tra i quali non possiamo non ricordare Aleksandr Sokurov, con il suo Faust del 2011, vincitore del Leone d’Oro alla 68° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Dato l’indiscutibile fascino e la straordinaria attualità del tema qui trattato, dunque, non stupisce il fatto che siano ancora in molti a voler mettere in scena la loro soggettiva versione. Questo, ad esempio, è stato il caso del regista polacco Krzystof Zanussi, il quale ha presentato in anteprima alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma – all’interno della Selezione Ufficiale – il suo Ether, in cui non sono più l’amore per la giovinezza e la delusione per la scienza a muovere il protagonista, bensì l’idea che la scienza stessa possa fare da strumento di manipolazione dell’essere umano.
È così, dunque, che viene messa in scena la storia di un medico senza scrupoli (i personaggi non hanno nomi propri), il quale, condannato a morte per aver involontariamente ucciso una ragazza con il cloroformio, viene immediatamente (e misteriosamente) graziato proprio nel momento in cui stava per essere impiccato. L’uomo, in seguito, dopo essere stato mandato in esilio in Siberia, verrà assunto come medico presso l’esercito austro-ungarico e qui avrà finalmente modo di continuare i suoi esperimenti con l’etere, scoprendo in che modo, attraverso esso, si può controllare l’essere umano. A pagarne le conseguenze, sarà un suo giovane apprendista, a sua volta sfruttato come cavia.
Pulito nella regia e con una fotografia dai toni tra il pastello e il grigio, questo ultimo lavoro di Zanussi parte piuttosto bene. I problemi, tuttavia, si presentano man mano che la messa in scena va avanti, con ritmi sempre più discontinui e uno script che arranca fino al finale. Eppure, malgrado questi (veniali) errori, il presente lungometraggio si sarebbe anche potuto salvare. Ciò che, però, ha fatto sì che il tutto precipitasse rovinosamente in caduta libera, è stata la scelta di inserire, immediatamente dopo la fine, una sorta di “appendice” (se così si può chiamare) in cui, tramite brevi scene montate in successione, viene realizzato un imbarazzante spiegone, atto a sottolineare il fatto che il protagonista aveva scelto di stringere il famigerato patto con il diavolo. Come se tutto ciò non bastasse, il lungometraggio termina con l’immagine del medico angosciato per la sua sorte, nel momento in cui si vede costretto a vedere il demonio, ma che, inspiegabilmente, di punto in bianco di avvicina alla telecamera guardando insistentemente in macchina e sorridendo.
Malgrado la spesso discutibile resa di alcuni suoi precedenti lavori, dunque, difficilmente ci si sarebbe aspettati da un cineasta come Krzysztof Zanussi uno scivolone del genere. Che il problema stia proprio nel fatto che, ormai, sulla storia del Faust sia stato ormai detto tutto? Oppure è lo stesso regista ad aver peccato di eccessiva autoreferenzialità? Probabilmente, entrambe le cose.

Marina Pavido

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