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Zero Days

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VOTO: 7

Guerra totale nel cyber-spazio

I casi Snowden e WikiLeaks sono solo alcune delle battaglie informatiche che da qualche anno a queste parti si combattono quotidianamente nella rete. Quella in atto nel XXI° secolo nel cosiddetto cyber-spazio è per certi versi una sorta di Terza Guerra Mondiale, un conflitto decisamente meno sanguinolento, consumato non più in prima linea tra detonazioni e colpi di mortaio, ma di certo non meno devastante dal punto di vista dei danni provocati. Il terreno dove non ci si fronteggia più faccia a faccia ma attraverso sofisticati sistemi alfanumerici, codici segreti e virus di diversa capacità distruttiva, è diventato il web e tutto ciò che da esso dipende.
Tra le battaglie più dure e intricate andate in scena in questi ultimi anni c’è senza ombra di dubbio quella raccontata da Alex Gibney nella sua ultima fatica dietro la macchina da presa che risponde al titolo di Zero Days, nelle sale nostrane con I Wonder Pictures dopo la presentazione in concorso alla Berlinale 2016 e la pre-apertura della seconda edizione di Visioni dal Mondo.
Protagonista assoluto del documentario scritto e diretto dal regista statunitense è Stuxnet, un aggressivo virus informatico autoreplicante scoperto nel 2010, commissionato anni prima dai governi degli Stati Uniti e di Israele per sabotare il programma nucleare iraniano. Questo complesso malware si è però diffuso in maniera incontrollabile, ben al di là del suo target designato. Il regista premio Oscar per Taxi to the Dark Side racconta a passo di thriller un passaggio storico cruciale: la prima volta che uno stato sovrano ha creato un virus informatico con lo scopo esplicito di usarlo come arma contro una nazione ostile. E’ l’ora zero di un nuovo modo di fare guerra, lo spostamento dal conflitto del campo di battaglia all’anarchia virtuale di Internet. In parole prove l’inizio delle cyberwar.
Il regista americano firma una nuova e scomoda inchiesta che non ha paura di mostrare e soprattutto di dire, ma non attraverso una tesi che si limita solo ed esclusivamente a sparare alla cieca su questo o quell’altro bersaglio. Le variabili, i danni collaterali e le fazioni che si fronteggiano in uno scenario indefinito sono tante e mutevoli, per cui sarebbe stato un errore colossale fare la classica suddivisione tra buoni e cattivi, vittime e carnefici. Si tratta di una ripartizione dalla quale non ci si poteva esimere in un’opera con Mea Maxima Culpa, nella quale lo stesso Gibney puntava giustamente il dito contro la piaga delle pedofilia nella Chiesa. Di fatto, ci si trova al cospetto della medesima impostazione che possiamo rintracciare anche nello scioccante Taxi to the Dark Side, incentrato sulla politica adottata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 dal governo americano per quanto concerne il trattamento dei prigionieri durante gli interrogatori in Iraq, Afghanistan e nel campo di prigionia di Guantánamo, che ha portato alla morte di 104 presunti terroristi. Per Zero Days la situazione e il tema richiedevano un approccio e un modus operandi totalmente diverso; tuttavia un punto di contatto con la pellicola del 2007 esiste ed è riscontrabile. In Taxi to the Dark Side, Gibney prende ad esempio la storia di un tassista afghano, catturato, torturato durante l’interrogatorio e morto dopo pochi giorni di prigionia, per poi estendere gli orizzonti argomentativi del documentario alle violazioni dei diritti umani perpetrate sui presunti terroristi nei campi di prigionia. Allo stesso modo in quello del 2016, l’autore prende il là dalla creazione e dall’uso del virus Stuxnet da parte degli Stati Uniti e di Israele per infiltrarsi e sabotare le centrifughe nucleari iraniani a Natanz, per poi catapultare lo spettatore in uno scenario vastissimo che rivela una massiccia operazione clandestina che coinvolge la CIA, la NSA, l’esercito statunitense e l’agenzia di intelligence israeliana Mossad. Si tratta di un piano per costruire e lanciare segreti informatici “bombe” che potrebbero far precipitare il mondo in una serie devastante di attacchi rischiando di impattare sulle infrastrutture critiche, spegnere l’elettricità, provocare l’avvelenamento di forniture di acqua e trasformando automobili, treni e aerei in armi letali.
Gibney porta sul grande schermo un film che accende i riflettori su un episodio gravissimo, uno dei tanti inghiottiti dalle sabbie mobili del top secret. Il risultato ha il merito di illuminare una delle tante zone d’ombra del web, ma anche quello di mostrare alla platea di turno l’uso distorto e malato che se ne può fare. Il regista dimostra ancora una volta di sapersi muovere con destrezza e coraggio su terreni minati, dove anche un passo falso potrebbe essere letale. Del resto, la capacità di sbrogliare le fitte maglie delle ragnatele senza rimanerci intrappolato è una delle caratteristiche del suo cinema. In Zero Days la materia da maneggiare era parecchio scivolosa e ardente, quasi un pavimento liquido sul quale era difficilissimo restare in piedi. Gibney vi riesce anche se trovare persone disposte a vuotare il sacco, specialmente su un tema così scomodo come quello della guerra informatica, non era per nulla facile. Per fortuna, a parte qualche no comment ricevuto nella fase iniziale, di figure disponibile a parlare a volto scoperto e non ne ha trovate. Ciò che emerge è davvero inquietante.
Il regista statunitense è bravo a mettere in ordine le miriade di tasselli a disposizione, anche grazie al montaggio che per forza di cose doveva dare il suo pieno apporto per fare in modo che ogni pezzo trovasse la giusta collocazione sulla timeline. Le argomentazioni sono però tantissime e l’enorme mole di fatti, dati e informazioni da trasmettere al fruitore provoca dei punti di eccessiva saturazione nella narrazione. In quei passaggi si avverte un fisiologico calo di attenzione e in quasi due ore di visione sono frequenti. L’altro tallone d’Achille è rappresentato dall’uso di tecnicismi e parole chiave che non tutti i potenziali spettatori conoscono, per cui consigliamo una ripassata generale prima della visione. Una volta fatto questo la visione di Zero Days diventa sicuramente più accessibile.

Francesco Del Grosso

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