Dopo la caduta del mostro gigante
Tanto il cinema di genere che, in misura persino maggiore, la letteratura fantastica, si ritrovano a volte a fare i conti con gli interstizi presenti in narrazioni consolidate, con gli spazi ancora da riempire dei Miti più popolari. E sia che si spinga sulla brillantezza dell’intuizione narrativa, sia che l’approccio risulti squisitamente parodico, l’effetto può essere a dir poco sfizioso.
Il riferimento letterario più vicino che ci viene in mente, nel caso in questione, è un prezioso racconto breve di Philip J. Farmer (autore forse poco noto in Italia, rispetto al suo immenso valore, cui si devono saghe straordinarie come quella di Riverworld), che si intitola “Dopo la caduta di King Kong” (After King-Kong Fell, 1973). Lì lo scrittore era andato a immaginare le ripercussioni più intime, personali, sottili, sulla vita di chi era stato testimone delle scorribande del gigantesco gorilla a New York; episodio, questo, la cui veridicità viene data per scontata nel racconto, al punto di ispirare (in un ’ardita cornice meta-linguistica) non altre opere di fiction, ma veri e propri documentari trasmessi periodicamente in televisione.
Similmente, ma con toni diversi, un film come What to Do with the Dead Kaiju? di Miki Satoshi ci racconta le reazioni dei politici, degli scienziati, dei militari e dell’opinione pubblica giapponese, allorché il classico mostro gigante, avendo seminato in precedenza morte e distruzione, a causa di un misterioso incidente giace stecchito in territorio giapponese. L’azione principale si è quindi già svolta, resta solo un mostruoso e invero colossale cadavere sul terreno. Cominciano pertanto ad accavallarsi le domande di rito. Come smaltire quei resti, che si sospetta persino possano essere radioattivi, senza creare danni all’ambiente circostante? E come resistere alle pressioni internazionali a riguardo?
Pare che l’originalissimo e folle lungometraggio, presentato nel corso del 24° Far East Film Festival, abbia suscitato in Giappone reazioni contrastanti, assai diverse tra loro, a partire proprio dai fan dei cosiddetti Kaiju Eiga. Come a dire che per alcuni non si scherza con miti come Godzilla e Gamera: andare a scavare nelle zone d’ombra, nel non detto o volendo nel fuori campo di tale filone, può suonare come un’eresia. A noialtri però gli eretici piacciono. E omaggiare così un genere tradizionale del cinema giapponese, parafrasandone liberamente e da angolazioni inedite gli stilemi, a nostro avviso è anche un modo ironico e intelligente di rivitalizzarlo.
Miki Satoshi, cineasta il cui percorso artistico (vedi In the Pool, Adrift in Tokyo e Instant Swamp) appariva già piuttosto variegato ed eccentrico, ha saputo qui inserirsi con personalità su una moda recente del cinema giapponese, che tende a spostare progressivamente l’attenzione del pubblico dagli attacchi dei mostri giganti alle misure, controverse o meno, poste in atto dalle autorità giapponesi per contenerne la furia. In tal senso l’interessante e complesso Shin Godzilla è senz’altro il modello più accattivante, per quanto a tratti così serioso, quasi ingessato.
Contrariamente all’esempio proposto, però, What to Do with the Dead Kaiju? accelera in modo vertiginoso sul versante della satira politica e sociale, regalando qualche sketch da antologia, all’insegna di una surrealtà di fondo che contamina molte delle situazioni descritte, tra personaggi inclini al pittoresco e regia a dir poco disinvolta. Senza però sacrificare inutilmente, diciamolo pure, la spettacolarità dell’impianto scenografico e delle sequenze più avventurose, il che rende il film godibile sotto tutti i punti di vista.
Stefano Coccia