La tempesta dell’adolescenza tra individuazione e rispecchiamento
Non è mai semplice affrontare un tema delicato e cagionevole come quello della fase adolescenziale senza venir tacciati d’estremismo, stereotipizzazioni, convenzionalismi, superficialità. Il paradosso che si nasconde dietro a delazioni di tal sorta, per quanto ben nascosto dietro le fortificazioni del buon senso,può essere facilmente smascherato dedicandosi ad una più attenta e scrupolosa analisi dell’argomento trattato: l’adolescenza e i momenti che ne preparano l’avvento sono dimensioni ontologicamente scandite da idealizzazioni e demonizzazioni radicali, da ammirazioni estatiche e rancorose persecuzioni, in un’oscillazione polarizzata e massimalista, negando al fenomeno della gradualità e della modulazione qualsivoglia diritto di cittadinanza. Così in We Are the Best! di Lukas Moodysson – tratto da un comic-book scritto e disegnato da sua moglie Coco – Bob e Klara, dodicenni emarginate in un contesto che fabbrica personalità sempre più formattate e seriali, si trovano a dover fronteggiare quella particolare e fisiologica transizione nella quale il pensiero si apre all’orizzonte delle possibilità,di ciò che ancora non è ma potrebbe essere,per quanto l’angustia degli spazi di realizzazione fruibili sembrino ostacolarlo:metter su una band pur non avendo idea di come si maneggi uno strumento, programmare persino di esibirsi di fronte ad un pubblico senza pesare l’ingenza di carenze di tal sorta. Bob e Klara vivono perennemente in bilico tra elettrizzanti sensazioni di dominio e onnipotenza (incarnatesi in utopie, velleità ideologiche, letture ciniche e denigratorie del mondo) e un desiderio sottocutaneo di sicurezza,di una continuità con il passato articolata in affetti,sguardi ricambiati e parole che riscaldano: emblematica in tal senso la scena in cui Bob chiede alla madre, sempre poco presente, se vuole qualcosa da mandar giù, tentando di inscenare una relazione che non sia più improntata alla trascuratezza e a concessioni eccessive. Klara si inerpica in sbeffeggiamenti e prese in giro della religione cristiana, argomentandovi contro con stilemi oltremodo contraddittori (“Come puoi credere in qualcosa che non puoi né vedere né toccare?” sentenzia Klara,senza considerare che i suoi stessi sogni,ideali,aspirazioni assurgono innegabilmente alla dimensione dell’intangibile), arrestandosi stupita di fronte ad un’improvvisa opposizione di Bobo,che con la sua fragilità e la sua insicurezza riesce più facilmente ad entrare in contatto con gli aspetti più emozionali e passionali,e con quegli affetti che rompono ogni logica spazio temporale ed ogni razionalizzazione storica. Tutta la pellicola è disseminata di quegli atteggiamenti antinomici così caratteristici di quest’età di transizione, che può passare da una sincera indulgenza nei confronti dell’altro, riconosciuto e apprezzato proprio nel suo differenziarsi e individuarsi (l’inclusione di Edwig nella band, ragazzina cristiana, riflessiva e obbediente), ad un’insopportabile insofferenza per tutto ciò che è estraneo e speculare alla propria costruzione identitaria (la seduta pseudocostrittiva nela quale Edwig viene sottoposta ad un esasperato taglio di capelli). Atteggiamenti quali il consumare considerevoli quantità di alcolici e il ribellarsi di fronte alle esigenze delle istituzioni, oltre che come volontà di far propri i modelli comportamentali contemporaneamente esaltati e temuti perché rigidamente attribuiti all’adulto nemico, possono essere letti come segnalazione di esistenza, come modalità sicure per acquisire tutta l’attenzione altrui,e divenirne così il polo catalizzatore.
We Are the Best! rende molto bene il conflitto e la tempesta tra individuazione di sé e rispecchiamento di gruppo, tra grandiosa immagine del sé e infrangibile debolezza che caratterizza quest’età: un novello adolescente può spingersi sul bordo di un alto edificio innevato senza avere il minimo sentore del pericolo a cui si sta esponendo, forse sprezzandolo addirittura, e sentirsi sull’orlo della frammentazione e della morte psicofisica mentre osserva allarmato un taglio superficiale sul dorso della mano. Onnipotenza e debolezza, in un’aporia che sembra non avere il privilegio del superamento. La superficialità non è dunque un difetto imputabile a We Are The Best!, così come non lo è la faciloneria, l’approssimazione, l’ipostatizzazione dei ruoli; piuttosto si avverte una certa inconcludenza, una sorta di punto di fuga mancato di difficile esplicitazione che potrebbe portare lo spettatore a mancare il senso, il filo rosso dell’opera, complice anche l’impostazione episodica e volutamente non narrativa, perlomeno nel senso tradizionale. di questo lavoro.
Ginevra Ghini