Home In sala Archivio in sala The Congress

The Congress

49
0
VOTO: 8

La dittatura dell’immagine

Ari Folman continua a esplorare, sperimentando il mondo cartoon. Il risultato è The Congress, basato sul romanzo Il congresso di futurologia di Stanislaw Lem. La pellicola ha inizio quando l’immagine degli attori diviene proprietà, oggetto di feticismo, duplicabile, infinitamente riproducibile. Cosa succede quando si ha a che fare con attori capricciosi, difficili da controllare, sulla soglia della vecchiaia? Questa è la premessa di The Congress. Folman, sette anni dopo Valzer con Bashir, ci immerge in un mondo futuristico che per molti versi già ci appartiene. Perché non ne è più l’anticipazione: è già possibile acquisire immagini di attori per scannerizzarle a piacimento, all’infinito. Solo la mano dell’uomo, quella che preme start e avvia il gioco, non è ancora proprietà della dittatura dell’immagine. Ecco i temi che coesistono nel bellissimo film di Ari Folman, argomentazioni che volteggiano senza fondersi del tutto, producendo un mix felice e caotico dellla nostra società e di quello che potrebbe diventare.
Il film è strutturato in due parti e un epilogo. Questa divisione ricorda i grandi film degli ultimi anni (Mulholland Drive, Syndromes and a Century, Tabu). Tali pellicole mostrano il diritto e il rovescio, portando poi, in modo simbolico, il ritorno delle sezioni iniziali in una terza parte. The Congress non viene meno a questa regola: le due sezioni iniziali si oppongono violentemente da un punto di vista formale. La prima, filmata in immagini reali, presenta un’attrice in declino (Robin Wright). La donna accetta il patto faustiano di prestare la sua immagine all’industria del divertimento (la Miramount) e di sparire agli occhi del mondo per vent’anni. La seconda, realizzata in un film d’animazione, la vede riapparire vent’anni più tardi a un misterioso congresso dove tutti vivono la possibilità di divenire tutto o niente grazie all’uso di droghe. La prima parte è scioccante da un punto di vista concettuale, drammatico ed estetico. L’umano diviene un semplice numero. A dire il vero già Richard Linklater aveva utilizzato icone d’attori in un film d’animazione, in A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare. In seguito, con la motion capture, Il signore degli anelli, Avatar, gli stessi attori sono stati trasformati in immagini differenti. The Congress naviga costantemente tra realtà e finzione, gioca con ambiguità e riferimenti che vanno da La bella addormentata a Il Dottor Stranamore passando attraverso Top Gun. Robin Wright, sacrificandosi all’autofiction, si ritaglia forse il suo ruolo migliore. Nella seconda parte del film, dopo vent’anni di assenza forzata, l’attrice è invitata a una conferenza per presentare un nuovo progetto di cui la diva è ormai il simbolo. Ma la donna/madre non può far altro che pensare sempre, continuamente, alla sua famiglia, in particolare al figlio malato. Il suo affetto supera e travalica il tempo (vedi terza sezione filmica). In questo Matrix in acido, Folman abbozza l’idea che questo mondo non abbia nulla di futuristico. Perché il cartoon che si anima davanti ai nostro occhi è un classico, spesso ispirato agli inizi del secolo scorso, ai Fleischer Studios, creatori di Betty Boop. Il rapporto filiale e l’umorismo presente in The Congress dimostrano la profonda passione comunicativa dell’autore per i suoi personaggi e il loro mondo. Partendo da una realtà puramente pessimistica Folman riesce a regalarci un film brillante e poetico.

Chiara Roggino

Articolo precedenteWe Are the Best!
Articolo successivoVisioni Differenti: Afflicted

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

16 − 9 =