Dall’altra parte della barricata
Non c’è giorno che sul piccolo schermo e sulle pagine dei giornali non si veda e non si legga di muri eretti ai confini, di leggi e Presidenti che impediscono la libera circolazione, di diritti civili violati e calpestati, di uomini e donne con prole al seguito costretti ad abbandonare le proprie terre per andare d’altra parte del mare per sopravvivere, magari a bordo di barconi fatiscenti o gommoni stracarichi che una volta si e l’altra pure non riescono ad arrivare a destinazione con tutto il “carico” sano e salvo. Non c’è giorno che non giungano ai nostri occhi e alle nostre orecchie drammatici bollettini di morte e immagini strazianti di sbarchi sulle coste e di tragedie consumate in mare. E se per una volta fossimo noi cittadini italiani i profughi, i disperati, i clandestini, i reietti e i rifiutati di turno? E se per una volta fossimo proprio noi quelli dall’altra parte della barricata? Che poi riavvolgendo i fili del tempo, noi dall’altra parte della barricata in passato ci siamo stati moltissime volte, quando con le navi della speranza milioni di connazionali fuggivano a migliaia di km di distanza per lasciarsi alle spalle la guerra, gli stenti, le dittature e la povertà. Forse per questo, un po’ dovremmo capire cosa significa, eppure nemmeno la memoria storica è sufficiente per ricordarci che noi dall’altra parte ci siamo stati. Ma evidentemente abbiamo la memoria troppa corta per ricordare.
Vista Mare, secondo lungometraggio di Andrea Castoldi, nelle sale a partire dal 3 febbraio 2017 con CF-Film, a suo modo ha tutta l’intenzione di farcelo ricordare, senza però riavvolgere le lancette del tempo, ma proiettandoci in un futuro imminente. Siamo infatti nel 2020. Lo Stato italiano è ormai alla deriva. Le rivolte popolari e le manifestazioni si susseguono a causa di una crisi economica sempre più soffocante. La regione Puglia è diventata una frontiera militarizzata, una linea di confine da non oltrepassare. Scontati tre anni di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, Stilitano è deciso ad abbandonare il Paese per raggiungere la tanto sognata Albania, terra prospera di lavoro e di speranza. Si unisce a un gruppo di italiani che come lui è in attesa di poter salire su un gommone di fortuna.
La trama della pellicola di Castoldi ha un non so che di pseudo fantascientifico, o meglio dell’immaginario post-apocalittico che ha e continua da decenni ad alimentare la letteratura e il cinema di genere. E dobbiamo ammettere che l’idea che ci eravamo fatti in merito alla direzione intrapresa dall’autore fosse propria la stessa percorsa di recente da Lorenzo Sportiello per il suo Index Zero. In tal senso, la suddetta sinossi può trarre lo spettatore in inganno. Ma ci pensano i primi minuti a ridimensionare quell’idea, poiché la visione futuribile portata sullo schermo in Vista mare è molto vicina ai giorni nostri, con chiari riferimenti alla situazione attuale che ci fanno pensare che il disastro è sempre possibile, nascosto dietro l’angolo e pronto a manifestarsi in qualsiasi momento. E non si tratta di essere più o meno pessimisti. disfattisti e catastrofici. Non c’è, infatti, bisogno di proiettarci troppo in la nel tempo, immaginando scenari apocalittici alla Mad Max per intuire a cosa stiamo andando incontro.
Vista mare è un esempio di fantascienza minimalista, a spettro visivo e drammaturgico ridotto, che fa orgogliosamente a meno del tanto per sfruttare al massimo ciò che è possibile e alla portata. Di conseguenza, l’autore fa di necessità virtù, portando comunque a casa un risultato più che sufficiente. I limiti imposti dal budget si vedono nelle ristrettezze imposte alla messa in scena e alla messa in quadro, ma anche nel vorrei ma non posso che si percepisce da certi passaggi e snodi del racconto. Ciononostante, la storia conserva intatta dal primo all’ultimo fotogramma utile una certa linearità e scorrevolezza, intaccata solamente qua e là da qualche momento di stanca che non appesantisce e non destabilizza la fruizione.
Ciò che resta è un film imperfetto, ma sincero, onesto e soprattutto mai pretenzioso, che utilizza il genere in questione e alcuni suoi codici come specchio dove riflettersi e per riflettere, ma anche come veicolo di denuncia nei confronti di una situazione che di fantascientifico ha poco e niente. Per fortuna, la morale spicciola a buon mercato qui non ha mai terreno fertile dove affondare le proprie radici e crescere, merito di una scrittura che non presta il fianco ad alcuna tentazione. Ciò che va in scena sono le paure, le tensioni e le ostilità odierne, proiettate qualche passo in avanti sulla linea temporale e diventate tristemente realtà. E per farlo, il regista lombardo non ha avuto bisogno di grandi scenari e di elaborati VFX. La messa in scena è di conseguenza semplice, così come la storia e i personaggi che la vivono, ma il messaggio principale della quale si fa portatrice sana è forte e diretto.
Francesco Del Grosso