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Visioni Differenti: Gummo

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The Land of Harmony

“Il senso di tutto questo cinismo, di questa assurdità? Dire a tutti: tranquilli, ci sono io, Harmony Korine. Forse Korine pensa di svelare la cruda verità attraverso l’esibizione di giovani problematici senza alcun adulto a far da modello positivo, ma è solo spazzatura. C’è una differenza tra osservare la realtà senza batter ciglio e sguazzare nella degenerazione”. Così parlò Mark Caro del Chicago Tribune nel 1997, come lui si espressero moltissimi critici americani, impreparati alla visione di Gummo: un film ripugnante, crudele, rancido, perverso secondo i più severi, secondo i più buoni invece un film sconclusionato e velleitario. Avevano ragione tutti quanti, Gummo è un capolavoro, uno dei film più caotici, disturbanti, perturbanti della storia del cinema. Nasce dalla mente sicuramente malata di un regista esordiente, che a 24 anni racconta – o immagina, o inventa, che è lo stesso – la multi(de)forme umanità di Xenia, cittadina dell’Ohio appena devastata da un tornado, riportandone sul set vita e usanze con pochi attori di ruolo e molti non professionisti. Si scopre così che lo sport più praticato a Xenia è la caccia al felino: giovani e giovanissimi si attrezzano per catturare gatti randagi e poi venderli a macellai cinesi, oppure seviziarli, annegarli, bruciarli, avvelenarli. Nel mentre si dedicano a queste comuni incombenze quotidiane, Korine li guarda con i suoi e i nostri occhi. Si apprende poi che Xenia, osservata nella sua fenomenica realtà, è un luogo mitologico, popolato da strane creature, intente ad occupare geometricamente lo spazio in cui esistono: c’è il nano omosessuale e di colore (fosse anche ebreo, vincerebbe il grande slam del pregiudizio), la languida prostituta down, i gemelli parricidi, gli energumeni ritardati, l’attempato pedofilo. E poi, sniffatori di vernice, genitori alcolizzati, madri disagiate. Una intera comunità weird che sembra uscita da un incubo di Todd Browning, non fosse che Browning converge centripeto verso un equilibrio spietato ma socialmente condiviso, invece Korine si fa beffe delle sovrastrutture e tende centrifugamente alla amoralità individuale, equidistante tra empatia e riprovazione. La violenza esibita in Gummo è quindi il modo usato dalle sue monadi per esprimersi, per stabilire un contatto. E’questa la ragione del veleno che gli si è rovesciato addosso negli anni, si è definito morboso un regista spaventoso, che vuole mostrare non una società ma la vita, all’apice del suo inaccettabile non senso.

I’ve had a job since I was thirteen years old.
Making a living was never a real problem for me.
The problem was all I see is misery and darkness.
Die, die, die.

La morte può essere un tornado che viene giù dal cielo, possono essere i due picareschi protagonisti, Solomon e Tummler, che con incolpevole indifferenza staccano il respiratore ad una vecchia ridotta allo stato vegetativo. Ancora e sempre l’orrore, lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile, qui come in Kids, prima sceneggiatura di Korine. E come, anni dopo, nell’altro capolavoro, Spring Breakers, film medesimamente mortuario, perverso, disturbante, cinico, eppure osannato, forse per l’illusoria avvenenza delle teen bitches protagoniste, forse perché intrinsecamente incompreso.

She’ll be dead now.
She’s always been dead.
She’s been gone a long time.

In mezzo a tutto questo, squarci di grande cinema, dialoghi improvvisati taglienti come falci, immagini neonfluorescenti accompagnate ora da filastrocche agghiaccianti, ora da motivi black metal e hardcore punk. La visione dell’inferno sulla terra, l’avanguardia dell’apocalisse, intorno a tutti noi.

Dikotomiko

http://dikotomiko.wordpress.com/

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