Non siamo soli
6270. Tranquilli non stiamo dando i numeri, anche se la storia e l’ambientazione del film che ci apprestiamo ad analizzare potrebbero in qualche modo farlo pensare. Saremmo assolutamente in tema. Tanti sono, invece, i metri quadri che compongono la struttura fatiscente e ormai dismessa di una casa di cura abbandonata nel mezzo di una remota foresta tra le montagne norvegesi, destinata ad essere demolita da lì a una manciata di mesi. Cinque appaltatori ispezionano l’edificio per trovare eventuali materiali pericolosi. Durante il sopralluogo, si ritrovano nei cupi e labirintici scantinati del fabbricato, costretti a fronteggiare il raccapricciante passato del sanatorio. I quattro km di corridoi sotterranei e i cinque piani che li sovrastano si trasformano così nel campo di battaglia di una guerra per la sopravvivenza da una parte e di difesa del proprio habitat dall’altra. Ma per sapere chi avrà la vinta tra le due fazioni dovrete però arrivare sino ai titoli di coda di Villmark Asylum. Noi abbiamo avuto la possibilità di scoprirlo alla 14esima edizione del Ravenna Nightmare Film Fest, dove la pellicola scritta e diretta da Pål Øie è stata presentata in anteprima italiana nel concorso lungometraggi.
Posizionando sotto la lente d’ingrandimento l’ultima fatica dietro la macchina da presa del regista scandinavo è piuttosto semplice tracciarne un preciso identikit, a cominciare dal genere d’appartenenza. Villmark Asylum è un horror dalle venature mistery, riconducibile a due prolifici filoni che qui finiscono con il mescolare senza soluzione di continuità i rispettivi DNA. Da una parte l’home invasion, dove la struttura in questione non è il classico focolaio domestico violato dai malintenzionati umani e non di turno, bensì una cloaca infetta e maledetta che custodisce l’immancabile terribile segreto inconfessabile. Nel caso del film di Øie, però, a “invadere” lo spazio sono quei personaggi che gli appartenenti allo schieramento dei cosiddetti buoni, ossia i cinque appaltatori. Sono loro a rompere un equilibrio che dura dal 1978, anno di chiusura del sanatorio. Sono loro la “minaccia”, gli “ospiti non desiderati” da cacciare per proteggere il proprio habitat. Peccato che il modo per difenderlo non potrà essere per nulla pacifico e accomodante. Ci si trova dunque a fare i conti con la tradizionale mattanza, che ha come protagonisti i cosiddetti “campeggiatori” destinati a vivere un incubo ad occhi aperti. La differenza è che il gruppo non è in vacanza di piacere, ma è impegnato in un lavoro di routine che ben presto cambierà profilo e scopo. All’home invasion si va poi ad affiancare un altro prolifico e ormai storico filone orrorifico, vale a dire quello dell’habitat infestato; da cosa o da chi ovviamente non ve lo diremo, ma state certi che non hanno nessuna intenzione di abbandonare quella che è diventata la loro casa.
Di conseguenza non ci si può aspettare significativi colpi di coda dalla fase di scrittura in termini di originalità, tantomeno essere particolarmente esigenti nei confronti di un’operazione che non vuole distaccarsi dai modelli predefiniti, ai temi e agli stilemi, dei suddetti sotto-generi. Per Villmark Asylum, il regista norvegese li chiama tutti all’appello e se ne serve per dare forma e sostanza a un horror davvero ben confezionato, soprattutto dal punto di vista della fotografia e di una regia piacevolmente eclettica e ricca di soluzioni degne di nota. Proprio la regia contribuisce in maniera determinante a scandire in maniera ottimale il ritmo del racconto, con una serie continua di accelerazioni e decelerazioni che tengono altissima la soglia dell’attenzione da parte dello spettatore. Allo stesso tempo, il lavoro dietro la macchina da presa di Øie consente alla timeline di farsi portatrice di una efficacissima costruzione della tensione che da latente finisce con l’esplodere sullo schermo negli ultimi trenta minuti al cardiopalma.
Francesco Del Grosso