Elegia della mutazione
In più di un’occasione, durante questo Trieste Science + Fiction Festival 2022, abbiamo apprezzato la capacità degli autori di dar vita a universi autonomi, dotati di originali coordinate estetiche e concepiti a ridosso di tematiche decisamente attuali. A riprova di una selezione particolarmente curata, sotto questo profilo. Ma tra i vari mondi futuribili ve n’è uno che, per la ricchezza dei riferimenti iconografici o drammaturgici e per il fascino così immediato della rappresentazione, ci ha colpito più di qualsiasi altro: quello ammirato in Vesper, nuovo immaginifico parto del duo creativo composto dalla regista lituana Kristina Buožytė e dal cineasta francese Bruno Samper. A loro, il pubblico triestino senz’altro lo ricorderà, si deve ad esempio il già molto maturo Vanishing Waves (2012), vincitore di svariati premi tra cui il Méliès d’or.
Sommando esperienze presenti e passate, la distopia pare essere per questo consolidato duo creativo un terreno da esplorare realmente fecondo, un vero e proprio laboratorio cinematografico, nonché filosofico. La sola poetica di Vesper pare aver assorbito e riconfigurato una miriade di suggestioni provenienti dalla science fiction cinematografica e letteraria. È un po’ come se nelle foreste della Lituania si sia voluto affrescare, innanzitutto, una sorta di “Lato Oscuro” della geografia di Pandora, emulandone le forme cangianti, iridescenti e dai cromatismi esasperati di flora e fauna aliena, così come vengono rappresentate in Avatar, ma da una prospettiva malata, decadente, distorta: nel sontuoso lungometraggio di Kristina Buožytė e Bruno Samper si immagina infatti che tali creature, gli abitanti perlopiù vegetali di un futuro post-apocalittico e per certi versi post-umano (considerando lo stato di degradazione in cui versa qui un’umanità residuale e corrotta), siano per l’appunto il frutto di catastrofi ambientali e mutazioni genetiche che hanno completamente sconvolto l’ecosostema.
In un pianeta Terra minato nel profondo si muovono però ancora, ultimo grido di speranza del genere umano abbrutito, figure come la giovanissima Vesper, adolescente parecchio sveglia e con una sua integrità morale, che vive lontana dalle altre comunità assistendo con dedizione il padre, annichilito nel fisico e con la coscienza trasferita in un drone tuttofare (ospite anch’esso, con grande meraviglia del pubblico presente al Teatro Rossetti, di Science + Fiction, che gli ha consentito di svolazzare sul palco al momento della presentazione). Lo stato di decadenza fisica del padre è peraltro lo spunto per certe rappresentazioni della mutazione corporea, della “nuova carne”, che vedranno anche altre declinazioni nel film e che non possono non far pensare a Cronenberg, titolare di un’ampia fetta di quell’immaginario.
Dall’aspro confronto con la vicina comunità di ragazzi inselvatichiti tiranneggiata dal laido fratello del padre e, soprattutto, dall’incontro con la misteriosa Camelia in poi, le aspirazioni di Vesper verso un miglioramento della condizione sua e del padre conosceranno un’impennata, tra effimere illusioni e vertiginosi crolli.
Fino al misticheggiante epilogo, che nell’accompagnarla in quel moto ascensionale verso la cima della foresta conserva anche, a nostro avviso, echi tarkosvkiani.
Ecco, nel configurarsi quale ipotetico crocevia di temi cari alla cultura fantascientifica occidentale e di un andamento decisamente contemplativo che filosoficamente pare rimandare ai classici della fantascienza russa o comunque dell’Europa Orientale, Vesper svela man mano una ricchezza incredibile. E lo fa dosando con accortezza archetipi tipici della fiaba e della letteratura per l’infanzia, vedi i riti di passaggio e le tante insidie di cui il bosco è la cornice nelle favole dei fratelli Grimm, come pure certi retroscena dickensiani ferocemente adombrati nella struttura gerarchica del gruppo di ragazzi sottomesso allo zio della protagonista; mentre mille altre suggestioni cinematografiche fanno capolino altrove, pure “fuori campo” se si considerano le “cittadelle” popolate da quegli eletti, in sostanza oligarchi, che si sono distaccate dal resto dell’umanità e la cui descrizione è affidata alle parole di Camelia, non avendole potute vedere la piccola Vesper se non da lontano. Non è questa una situazione affine a quella rappresentata in Zardoz, tramite la divisione della collettività tra mondo esterno controllato dai “bruti” e popolazione di fascia alta selezionata per vivere nei Vortex?
Comunque, l’aspetto davvero straordinario è che questo florilegio di citazioni e di nuclei tematici o rappresentativi non dà vita a un pasticcio post-moderno, in Vesper, bensì a un racconto fantascientifico compatto, intimamente coerente, nel quale l’alienazione della vita sulla Terra non impedisce nemmeno alla protagonista di lanciare, come un lampo nell’oscurità, quel messaggio di speranza affidato infine ai semi delle piante rigenerati. I semi di una possibile nuova esistenza.
Stefano Coccia