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Una nuova amica

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VOTO: 7.5

La rinascita

Non è mai stato facile e mai lo sarà scardinare dal pensiero comune dei molti che pensano di sapere e invece non sanno, tutta una serie di stereotipi e cliché che riguardano l’omosessualità, largamente diffusi e per la stragrande maggioranza dei casi errati. Tra le decine e decine che affollano la mente umana vi è l’idea che i trans, o coloro ai quali piace indossare abiti femminili e truccarsi, siano automaticamente omosessuali. Non è affatto così, perché al di là delle molteplici motivazioni che possono esserci dietro la suddetta scelta – che ovviamente non approfondiremo in queste pagine perché non è la sede adatta –, il mondo è pieno di persone che, indipendentemente dal posto di lavoro che occupano, dalla razza, dal credo e dall’estrazione sociale di appartenenza, si travestono solo per il piacere di farlo. Ma del resto non c’è da stupirsi dell’esistenza di certi schemi mentali, poiché l’uomo per natura è spaventato da ciò che non conosce e per ignoranza tende ad allontanarlo, rigettarlo, rifiutarlo, ghettizzarlo o nel peggiore dei casi ad estirparlo, liquidandolo come una malattia o una perversione.
Il merito dell’ultima fatica dietro la macchina da presa di François Ozon dal titolo Una nuova amica è proprio quello di aver messo alla porta, in maniera chiara e decisa, il suddetto cliché, passando attraverso il frutto, a nostro avviso intelligente, di un cinema non autoritario ma autoriale che lascia libero lo spettatore di porsi domande e di dare le risposte che preferisce. Non è un caso, infatti, che ci si trovi al cospetto di un film che per scelta apre una serie di porte senza necessariamente doversele richiudere alle spalle, lasciando di fatto al fruitore la possibilità di interpretare ciò che vede e ciò che sente in piena autonomia, fornendo loro vie d’uscita, spiragli e chiavi d’accesso in qualsiasi momento. Per farlo, il regista francese è solito giocare con le sospensioni, i non detti, il fuoricampo (che non significa non mostrare), lavorando per sottrazione o accumulo in una dimensione che il più delle volte si trova in ambigua oscillazione tra realtà e sogno, vita e scrittura, dramma psicologico e sottile humour, romanzo e melò (vedi ad esempio Swimming Pool), con folate mistery che si insinuano tra le maglie drammaturgiche di un plot che questa volta strizza l’occhio all’hitchcockiano Vertigo. Per ciò, immerge storia e personaggi in un’ambientazione rarefatta, indefinita e idealizzata, che il regista ha definito persino “fiabesca”, resa attraverso un’eccessiva stilizzazione della messa in scena per evitare che questa acquisisca connotati troppo realistici, in un continuo gioco di specchi tra ciò che vediamo e ciò che esiste veramente.
In Una nuova amica, Ozon conferma il proprio modus operandi, espressione di un modo personale e riconoscibile di fare e concepire la Settima Arte, con una predilezione a ritrarre le “trasgressioni” e le diverse sfumature dei sentimenti e delle relazioni umane e affettive attraverso i comportamenti sessuali dei personaggi che animano i suoi film. Lo scopo non è quello di scandalizzare o provocare gratuitamente gli spettatori, piuttosto quello di lanciare sullo schermo un messaggio di carattere socio-politico, specialmente in un periodo caldo come quello che stiamo vivendo. Particolarmente significativo, in tal senso, il fatto che abbia scelto ancora una volta di ambientare la vicenda nell’upper class, capace di accettare qualsiasi cosa a patto che non venga resa pubblica. Il tutto senza giudicare o giustificare ciò che ha deciso di raccontare e mostrare a parole e in immagini con brio, raffinatezza di dettagli, ironia dissimulata e coerenza stilistica.
Presentata alle passate edizioni dei festival di Toronto e San Sebastian, la quattordicesima pellicola del regista transalpino, ispirata alle pagine di “The New Girlfriend” di Ruth Rendell, è un’esplorazione a 360° della sessualità, con la quale Ozon prova, a nostro avviso riuscendoci, ad andare oltre le mere e schematiche catalogazioni ed etichette, restituendo sul grande schermo l’eterogeneità e la vastità di un “universo” ancora tutto da scoprire. Il romanzo, del quale il film è un libero adattamento, diventa l’occasione per il cineasta per indagare le misteriose logiche dell’attrazione. Il risultato è un’opera che parla di formazione e della ricerca della propria identità, del coraggio di essere se stessi  nonostante tutto e davanti a tutti, della capacità di accettare l’altro e soprattutto ciò che si è. Ozon plasma la materia letteraria originale, la scardina e la ricompone conservandone l’essenza primigenia, ma donando alla trasposizione un’apertura e una speranza che il romanzo non ha nel dna. La storia è quella di Claire, una donna profondamente scossa dalla morte della sua migliore amica, con la quale aveva instaurato un’intesa speciale sin dall’infanzia, che si riapre alla gioia di vivere dopo una scoperta sorprendente e intrigante su David, marito della defunta. Ma in un vortice di segreti, pulsioni inaspettate e doppie identità nascoste, la situazione comincia a sfuggire di mano a entrambi.
Come in Sotto la sabbia, Ozon  racconta – spingendosi ai limiti del visibile filmico – quello che in psichiatria si definirebbe un caso di nevrosi delirante che coincide con il percorso di due persone traumatizzate che, nell’assenza del corpo amato, non possono e non vogliono accettarne la morte. Se nel film del 2000, una desiderabile cinquantenne si trovava a fare i conti con la misteriosa e inspiegabile scomparsa del coniuge, in Una nuova amica sono un uomo e una donna (i bravissimi interpreti Roman Duris e Anaïs Demoustier) a dover trovare il modo per elaborare un lutto che è certo. Lo faranno ciascuno a proprio modo, attraverso un’evoluzione e una trasformazione fisica e soprattutto interiore, che li porterà a liberarsi da quelle “prigioni invisibili” dove volontariamente o involontariamente, consciamente e inconsciamente, erano stati o si erano confinati.

Francesco Del Grosso   

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