Giù la maschera
Da una caduta rovinosa provocata da un film nato sotto una cattiva stella e dalle ripercussioni fisiologiche che ne possono scaturire, non sempre è facile risollevarsi e ripartire. Per quanto riguardo Cristina Comencini, una pellicola come Quando la notte ha rappresentato una sorta di Caporetto di fronte al quale non restava altro, nonostante i disperati tentativi di salvare il salvabile (davvero poco), che issare bandiera bianca. Non è un caso che abbia deciso di mettere da parte la regia cinematografica per dedicarsi a quella teatrale (La scena) e televisiva (una manciata di puntate della serie Gomorra), oltre che alla scrittura di romanzi (“Lucy” e “Voi non la conoscete bene”), prima di ritornare sul grande schermo. Di anni ne sono trascorsi quattro da quell’ultima disastrosa fatica dietro la macchina da presa, uscita con le ossa rotte dal concorso veneziano. Ora la ritroviamo alle prese con una commedia corale quasi tutta al femminile, con la quale cerca di rialzare la testa, ricominciando, cinematograficamente, da quelle tinte più soft che le avevano permesso di sfornare le sue prove migliori in una filmografia decisamente altalenante, con pochi alti e molti bassi.
Con Latin Lover, nelle sale a partire dal 19 marzo in trecento e passa copie, la regista romana torna sui suoi passi per evitare di cadere un’altra volta e farsi nuovamente male. I toni e i registri sono quelli di precedenti come Il più bel giorno della mia vita, Matrimoni e Liberate i pesci, che con humour e leggerezza focalizzano il baricentro drammaturgico sulla famiglia e il familismo italiano, sulla cultura e la società, ma anche sul rapporto e sul confronto generazionale. In particolare, il focolaio domestico, i legami di sangue e affettivi, così come le dinamiche interne e coloro che le innescano, rappresentano il perno su e intorno al quale la Comencini costruisce le architetture della maggior parte delle vicende che ha deciso di raccontare, indipendentemente dal genere o dal canale di fruizione scelto. Qui siamo alle prese con la classica riunione familiare, quella che a distanza di tempo puntualmente finisce con lo scoperchiare vasi di Pandora, liberando segreti, misteri e verità, sepolti e per decenni taciuti. L’occasione per la rimpatriata in terra pugliese (per la cronaca in quel di San Vito dei Normanni) è il decennale della scomparsa del grande attore del cinema italiano Saverio Crispo, che vede le donne della sua vita in trasferta nella terra che gli ha dato i natali. Tra conferenze stampa, proiezioni e rivelazioni notturne, le protagoniste rivaleggiano, si affrontano, in un crescendo di emozioni e situazioni tragicomiche. Crispo ovviamente è il frutto dell’immaginazione degli autori del soggetto, il cui identikit nasce dalla fusione di attori celebri come Mastroianni, Gassman, Tognazzi e Volontè (divertenti e riuscite le parodie e i rifacimenti di alcune scene particolarmente note). Nel ricordo del grande divo, che nel film ha il volto di Francesco Scianna, si fronteggiano faccia a faccia sette donne (due moglie e cinque figlie), dando vita a una sorta di 8 femmes all’italiana.
Il risultato è una storia corale che si lascia guardare, di un intimismo quasi autobiografico, in cui la malinconia e la vena nostalgica dei bei tempi che furono hanno un posto dominante. Il limite sta nel non sapersene distaccare, il merito nell’averlo riesumato mettendolo al servizio di una commedia che in fin dei conti si presenta piacevole, ricca di inganni, affollata di prime donne, situazioni e colpi di scena, condotta a ritmo veloce ma non agile, con ironiche considerazioni sulla condizione della donna. Sceneggiata con mestiere, recitata con impegno ed efficacia, ma indecisa tra ironia critica e complicità con i personaggi, convenzionale e qua e là incongruente nel disegno di alcune spalle maschili (il montatore), Latin Lover resterà comunque nei cuori degli spettatori per essere stata (purtroppo) l’ultima apparizione sul grande schermo di una straordinaria Virna Lisi nei panni di Rita (la prima moglie), ma anche per la scelta della Comencini di affiancarla a un’altra grande interprete, ossia l’almodovariana Marisa Paredes, qui Ramona, la moglie spagnola.
Francesco Del Grosso