‘Vacillo nel buio’ e poi…
La macchina da presa introduce subito lei, una figlia, Sofia (Ginevra Francesconi), mentre dorme e ha un incubo, ancora una volta. Lo spettatore intuisce che qualcosa non vada e Ivano De Matteo è molto bravo nel seminare segnali già nei primi minuti per restituire il quadro di una situazione famigliare in cui si è andati avanti senza elaborare il lutto, attraversandolo.
Pietro (Stefano Accorsi) è un uomo di mezza età con un grande dolore alle spalle: la morte di sua moglie. Non ha avuto tempo per il dolore essendo rimasto con una figlia di occuparsi e con cui si è creato un rapporto molto forte: da parte di Sofia emerge un mix di gelosia e rabbia nei confronti di Chiara (Thony), la compagna con cui il padre sta provando a rifarsi una vita. Dall’altro lato Pietro è protettivo, si impegna nel favorire il dialogo tra le due donne, ma una reazione inaspettata di sua figlia durante un acceso confronto in cui sono da sole, cambierà tutte le carte in tavola facendo cadere ogni certezza (sempre che un genitore e anche un figlio possano averne).
La conseguenza concreta per Sofia è l’iter che la porta in un centro di prima accoglienza. Per com’è pensata la sceneggiatura (dallo stesso De Matteo insieme a Valentina Furlan, liberamente ispirato al libro “Qualunque cosa accada” di Ciro Noja, edito da Astoria Edizioni) ogni momento di vita vissuta è come se creasse un nuovo tassello di connessione con la platea di turno, merito anche delle credibili e intense interpretazioni in primis di Accorsi e Francesconi. Una nota di merito va anche a Michela Cescon nei panni dell’avvocato amica di Pietro, a cui l’attrice conferisce un’ampia gamma di sfumature, dalla fermezza a gesti amorevoli verso Sofia, passando per lo scontro con un padre molto disorientato. Se con il precedente lavoro, Mia, ci si ritrovava a toccare un culmine che arrivava a travolgere il nucleo famigliare di turno come una carezza in un pugno; in Una figlia, coerentemente con ciò che si vuole trasmettere, si è sempre coinvolti perché si può non essere genitori, ma la condizione di figlio è qualcosa che ci accomuna insieme a quella di esseri umani, che si possono sentire fragili. Qui proviamo lo smarrimento di Sofia di fronte alle pratiche dei controlli nel comando di polizia (che si ripeteranno) o nell’entrare in cella e lo smarrimento di natura diversa di un padre messo a dura prova. Al mix di emozioni che travolgono sottilmente lo spettatore, ‘lavorando’ su più piani, contribuisce anche il lavoro sui suoni: viene ricreata con realismo la vita in carcere e dalle chiavi all’abbattitura (consiste nello sbattere violentemente il manganello contro le sbarre per controllare che non siano state manomesse) si crea un rituale che appunto lavora dentro lo spettatore. In questo modo la temperatura emotiva è costante, sembra di essere sempre su un filo, partecipando a quella tensione che si è creata interiormente nei singoli (sintomo ne sono pure i pianti trattenuti) e nel rapporto padre-figlia.
«Quando ho partecipato agli incontri col pubblico per il mio film precedente Mia in molti chiedevano: ma il padre del ragazzo cattivo? Cosa fa? Come reagisce? Gli rimane vicino o lo abbandona? Sotto il segno di questi interrogativi è nato Una figlia», dichiara Ivano De Matteo nelle note di regia aggiungendo: «La sofferenza delle ‘vittime’ è più semplice da descrivere ma per quella del ‘carnefice’ bisogna usare particolare cautela. Ecco, ho girato questo film con molta delicatezza, con attenzione, tentando di non ferire e di non infierire. Tentando di essere solamente un obiettivo che riprende, senza giudicare. Senza mai soffermarmi sulla parte violenta della storia ma tentando di dare luce alle conseguenze. Per fare questo sono stato particolarmente attento ai volti, alle atmosfere, agli stati d’animo, a tutto ciò che sta sotto la pelle, dietro gli occhi. Si dice: mettetelo in carcere e gettate la chiave. Io ho raccolto quella chiave e sono entrato. Ho provato a seguire i protagonisti di nascosto, rubare le loro emozioni e trasmetterle in modo immediato e vivido, senza filtri. Creare emotività e immedesimazione, in modo che anche il pubblico non si senta in sala ma nella stanza, sulla strada, accanto agli attori, dentro la storia.
Il montaggio (curato da Giulia Sarli e De Matteo) segue alla lettera le scene descritte sulla sceneggiatura. Non è un montaggio veloce con accelerazioni improvvise ma va dietro al ritmo dei personaggi. Impaurito e nervoso della figlia, spaesato e ferito del padre. Entrambi i protagonisti cambiano. Passano da una vita normale a qualcosa di impensabile che non è neanche possibile più chiamare vita. Ho usato anche la musica per segnare questi cambiamenti, questi passaggi. Passando da quella ascoltata dai ragazzi alle composizioni del Maestro Francesco Cerasi che da sempre sottolineano i momenti fondamentali dei miei film».
Una figlia è il ‘capitolo’ conclusivo di quella che si può vedere come una trilogia avviata con I nostri ragazzi e proseguita con Mia. Tutti e tre diversi punti di vista o, come li chiama lo stesso cineasta «punti macchina» da cui raccontare i giovani e, in relazione con loro, gli adulti.
Presentato al Bif&st-Bari International Film&Tv Festival 2025, Una figlia è al cinema dal 24 aprile ed è un’occasione per condividere la visione, guardarsi e confrontarsi su rapporti così essenziali nella costruzione dell’essere umano.
«Un figlio deve smettere, prima o poi, di essere un figlio, ma un genitore non può mai smettere di essere genitore».
Maria Lucia Tangorra