Io ballo da solo
Ci si è occupati più volte della produzione documentaria di Danilo Monte: opere come Memorie, In viaggio verso Auschwitz, Vita Nova e soprattutto Nel mondo si sono rivelate a noi quali capitoli di un percorso indubbiamente sincero, personale, consapevole, tanto introspettivo quanto proiettato all’occorrenza verso una dimensione comunitaria. Verso il rapporto con l’Altro. Vi era quindi curiosità per questa estemporanea sterzata nei confronti di un cinema di finzione, approcciato comunque coerentemente, a livello filmico, con quanto realizzato fino a questo momento.
Tale debutto nella fiction cinematografica, Ultimo Impero, al pari dei precedenti lavori di Danilo Monte pare orientarsi verso una ricognizione del Reale che può diventarne anche trasfigurazione, rilettura critica, proiezione simbolica. Presentato in una vetrina di prestigio come il 41° Bellaria Film Fest, l’intenso e riflessivo cortometraggio si nutre in primis di una cornice ambientale unica nel su genere. Le riprese sono avvenute infatti presso una struttura in rovina, per l’appunto l’Ultimo Impero, considerata negli anni ’90 la discoteca più grande d’Europa e andata poi incontro a un inesorabile declino.
Qui, in un nulla o un altrove connotato dalla sporadica presenza di tossici e altri sbandati, sono destinate a intrecciarsi le parabole esistenziali di due figure respinte ai margini della società: lui, uno straniero senza fissa dimora (impersonato dal poeta marocchino Mohamed Amine Bour); lei, una non più giovane prostituta (e ad interpretarla è stata chiamata la dirigente sanitaria Alessandra Rosa, così da ribadire la scelta di affidarsi ad attori non professionisti).
Lui in quello stabile diroccato ci dorme, lei nel parcheggio antistante ci lavora. I casi della vita faranno sì che, in modo caritatevole ed empatico, le loro esistenze si sfiorino, almeno per un momento. Non è comunque la linea estremamente basica del racconto ad imporsi, quanto piuttosto una serie di impressionistiche riflessioni, suggestioni, atmosfere, relazioni fisiche e spaziali, il cui epicentro è rappresentato ovviamente da un set tanto particolare ed evocativo. Le scelte di regia e lo scarno impianto diegetico, pur aderenti al Reale, assumono quindi una valenza metaforica. Significativo, in tal senso, è anche il fatto che Ultimo Impero si sia sviluppato a partire dall’ennesima collaborazione tra Danilo Monte e Alessandro Aniballi, a sua volta giornalista e film-maker, cui si deve ad esempio la ricerca in archivio delle immagini relative alla discoteca stessa. Lo straniante e allucinato utilizzo di tali filmati finisce così per definire ulteriormente la poetica del cortometraggio.
Stefano Coccia