Destinazione Polonia
Ci sono momenti in cui l’arte può assumere un significato sociale, di impegno civile, umanitario; ci sono atti di impegno umanitario che possono diventare opere d’arte. È il caso del documentario In the Rearview, del filmmaker polacco Maciek Hamela, che è stato presentato all’Acid, la sezione parallela più alternativa, dell’ultimo Festival di Cannes. Al contempo si tratta di una delle opere che forniscono uno sguardo inedito sul conflitto in corso in Ucraina. Tutto parte da quando Maciek Hamela, già molto coinvolto con la causa ucraina avendo partecipato al Maidan del 2014 ‒ anche realizzandovi un documentario ‒, decide di mettere in piedi un servizio di trasporto per aiutare la popolazione ucraina a fuggire dal paese, con destinazione Polonia. Acquista così, prima uno e poi due, van, e si mette alla guida per trasportare persone in fuga dal paese in guerra, in accordo con associazioni umanitarie.
Dopo i primi viaggi, alternandosi alla guida con un altro autista, decide di riprendere i passeggeri, lasciandoli raccontare le proprie storie. In the Rearview è un road movie documentario intimista, dove una mdp, sempre allo stesso punto interno al veicolo, inquadra i volti dei profughi in un ambiente chiuso che assume il senso del confessionale. E fuori immagini di carneficina: ponti distrutti, macchine e case bruciate. C’è chi non avrebbe voluto lasciare la casa se non fosse per i figli da portare in salvo, e avrebbe preferito rimanere correndo il rischio, c’è chi si porta dietro il gatto in un cestino, chi parla della propria mucca sperando un giorno di ritrovarla. Ci sono persone di campagna e ragazzi con le t-shirt alla moda, sono rappresentate diverse estrazioni sociali così come tutte le età. C’è una madre surrogata che pianifica altre gravidanze su commissione per potersi finanziare il ritorno in patria, a guerra finita, e la ristrutturazione della casa. C’è anche una studentessa universitaria di colore, ferita, la cui presenza racconta un altro aspetto del paese, ovvero il fatto che accolga nelle sue università tantissimi giovani africani. Nel mentre il percorso si snoda tra un checkpoint e l’altro, a volte rischiando di imbattersi in strade minate. È un tragitto pericoloso che fa trapelare il coraggio di chi ha organizzato l’impresa.
Nessuna voce off, nessuna spiegazione. Solo quelle persone che si alternano abbastanza frequentemente dentro lo stesso riquadro, tra i tanti passeggeri in fuga. Esce un gruppo, entra un altro. La posizione stessa denuncia il punto di vista di chi occupa il sedile davanti, a fianco del conducente. Quello di un Orfeo che si volta indietro, osservando chi sta portando fuori dall’inferno. Ed anche un modo di portare lo spettatore dentro quel veicolo. Fargli conoscere le persone, a breve distanza da loro, le storie, le tante tragedie individuali che si porta dietro una guerra. Il titolo che allude al guardare indietro, può anche essere un auspicio a un futuro in cui si saranno lasciati indietro questi terribili momenti. Il film ha anche altri due titoli, oltre a quello internazionale in inglese. In polacco è Skąd dokąd e in ucraino Zvidky kudy, che significano rispettivamente “Da dove” e “Per dove”, allusione alle espressioni di routine sentite ai checkpoint.
Giampiero Raganelli