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Tokyo Ghoul

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VOTO: 5.5

Uno di loro

30 milioni di copie vendute in tutto il mondo: è la cifra astronomica raggiunta da “Tokyo Ghoul”, il popolarissimo manga scritto e disegnato da Sui Ishida, serializzato sul Weekly Young Jump di Shūeisha tra il 2011 e il 2014. Con dei numeri così e con un tale successo planetario era inevitabile che prima poi a qualcuno venisse in mente di trasformarne le pagine in immagini e suoni. E così è stato. Ne sono nate a poca distanza dalla pubblicazione prima una serie animata televisiva in due stagioni, poi il live action per il grande schermo diretto da Kentaro Hagiwara e sceneggiato da Ichirô Kusuno. Ed è proprio di quest’ultimo che vi vogliamo parlare in occasione dell’uscita evento del 6 e 7 marzo voluta da Nexo Digital e Dynit per la sesta stagione di Nexo ANIME.
La storia ci catapulta in una Tokyo contemporanea non troppo dissimile dalla realtà, dove la vita scorre serena nonostante la minaccia dei ghoul, creature simili agli esseri umani ma che non possono nutrirsi di altro che di carne umana. Ken Kaneki, un giovane universitario timido e tranquillo, si trova adescato da una ghoul, Rize. Per un caso, o forse per mano di qualcuno, la caduta di alcune travi d’acciaio travolge lui e la sua carnefice. Ken, in fin di vita e incosciente, viene salvato grazie al trapianto degli organi di Rize e da allora la sua vita cambia totalmente: assumendo le caratteristiche biologiche dei ghoul, diventerà incapace di nutrirsi di cibo normale e ne sperimenta la fame devastante…
Come potrete ampiamente immaginare dalla sinossi, sin dalle sue origine cartacee Tokyo Ghoul è sempre stato un “prodotto” ad uso e consumo di un fruitore young adult. E non poteva essere altrimenti anche per il potenziale spettatore della sua trasposizione cinematografica con attori in carne ed ossa, dove a interpretare il ruolo del protagonista è stato chiamato il giovane Masataka Kubota. Le venature horror, le continue mutilazioni degli arti, le creature mostruose, le atmosfere maledette e sopratutto gli ettolitri di sangue generosamente versati sullo schermo, fanno parte di un menù decisamente non adatto ai più piccoli. Ma al di là della destinazione, la visione non soddisfa le numerose aspettative di chi, come noi, aveva apprezzato la versione animata, decisamente su altri livelli rispetto a quello che Hagiwara è riuscito a restituire nel suo live action. Sulla pellicola e sulla sua resa pesano, infatti, non poche lacune drammaturgiche e tecniche. Da una parte, la necessità di comprimere a forza in una timeline di 120’ una vicenda di più ampio respiro, a conti fatti si fa sentire. Tenendo in considerazione l’elevato numero di pagine della matrice originale, forse, optare per una divisione in due episodi, come è stato ad esempio per Parasyte – Part 1 e Part 2 di Takashi Yamazaki, adattamento cinematografico dell’altrettanto noto manga di Hitoshi Iwaaki, avrebbe probabilmente contribuito alla causa. Una causa che, del resto, subisce un drastico ridimensionamento per via della scarsa originalità del plot nativo, a sua volta alimentato da suggestioni, atmosfere, situazioni e personaggi, che appaiono come la somma di qualcosa di già ampiamente visto ed esplorato in passato.
Sul versante della resa, invece, la discontinuità piuttosto evidente per quanto concerne la confezione visiva, soprattuto sul versante dei VFX, rappresenta l’altro anello debole dell’ingranaggio. Quest’ultimi supportano a fasi alterne la messa in quadro, garantendo solo in parte alla regia quel reale sostegno del quale necessitava per alimentare ancora di più la componente spettacolare dell’operazione. Dall’addestramento di Kaneki in poi la situazione cambia, con la cinetica, l’azione e la computer grafica che, qualitativamente parlando, acquistano in termini di efficacia e a giovare di tali migliorie è l’estetica nel suo complesso. Il doppio combattimento in montaggio parallelo che si consuma in prossimità dell’epilogo, è senza ombra di dubbio la punta dell’iceberg, capace di dare al film una piccola scossa e alla platea un ridotta dose di adrenalina. Ciò non è però sufficiente a riportare a galla il risultato finale, purtroppo ben al di sotto delle non poche aspettative riversate sull’adattamento in questione.

Francesco Del Grosso

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