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Parasyte – Part 2

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VOTO: 6,5

Beware of the Alien Nation

Nella migliore tradizione dei vecchi sceneggiati televisivi, anche per questo lavoro cinematografico in due parti è forse il caso di riassumere quanto si è visto in Parasyte – Part 1, prima di parlare del secondo e a nostro avviso meno compatto secondo episodio. Nella prima parte del fumettistico kolossal diretto da Takashi Yamazaki una singolare forma di parassiti alieni è sbarcata in Giappone. Sono creature dall’aspetto repellente ma dotate di un’intelligenza piuttosto sviluppata, per quanto non vincolata dalle stesse emozioni che provano gli umani. Si insinuano nel cervello delle persone passando attraverso le orecchie, per poi prenderne il controllo generando una spaventosa mutazione. Ma per il giovane Shinichi non è andata esattamente così. L’alieno che lo ha attaccato, assumendo non a caso il nome di Migi (“Destro”), ha fallito l’ingresso nel cervello e si è dovuto perciò accontentare di dominarne e modificare la mano destra, trasformata così in un’entità pensante come pure in un’arma tagliente e letale. Tra i due, dall’iniziale diffidenza reciproca, si è passati ben presto a una specie di contorta amicizia, dovuta anche a una serie di drammatiche circostanze. La madre di Shinichi ha purtroppo subito la trasformazione da parte di un altro alieno particolarmente ostile. Molte altre persone continuano a fare una brutta fine in Giappone, mentre tra gli stessi parassiti alieni c’è chi tenta di stoppare certi bagni di sangue gratuiti, alla ricerca di una possibile convivenza con la specie ospite. E quando anche la ragazza del giovane Shinichi finisce per correre un grave pericolo, per via di un alieno ormai fuori controllo, il tremendo eccidio verificatosi nella loro scuola si pone come premessa di una ridefinizioni dei rapporti tra i personaggi principali, sia alieni che umani…

In Parasyte – Part 2 le tensioni accumulate nella prima parte sono destinate ad esplodere, accompagnando il sempre più aspro confronto tra due specie in competizione verso un confronto finale, quasi inevitabilmente cruento. Ma, prima che si arrivi al fatidico regolamento dei conti, realizzato in maniera fin troppo scontata, alcuni degli spunti narrativi più interessanti del dittico possono giungere a compimento. Se sin dall’inizio l’invasione aliena era stata presentata, un po’ in stile The Matrix, come possibile risposta dell’ordine naturale al ruolo parassitario del genere umano nei confronti del pianeta, l’articolazione della società aliena propone poi alcune forme di aggregazione meritevoli di approfondimento. Tra i parassiti vi sono semplici macellai, è vero, ma ci sono anche esseri maggiormente consapevoli e astuti che tentano di prendere il controllo della società nipponica, approfittando della forma umana e costituendosi in partito politico. Mentre altri ancora più evoluti, come Ryoko Tamiya (ovvero la creatura aliena insediatosi nel corpo di una professoressa di biologia), stanno seriamente studiando un’alternativa al nutrirsi di carne umana, per esempio. Se vi è quindi un valido e per certi versi inconsueto processo di “umanizzazione” della controparte aliena, a rendere ancora più affascinante il discorso è la comparsa di alcune figure conturbanti e destabilizzanti nel campo umano, su tutte quella del serial killer assolutamente privo di scrupoli morali cui la polizia chiede aiuto, al momento di investigare sulle tante misteriose sparizioni avvenute a Tokyo e dintorni. Il complesso scenario che va a delinearsi andrebbe quindi preso con le molle.

Peccato, però, che nell’ultimissima parte di Parasyte a Takashi Yamazaki sfugga la mano (e non ci riferiamo qui al co-protagonista alieno, insediatosi nella mano di Shinichi) un po’ troppo spesso. Nel senso che in passate occasioni (dall’esaltante The Eternal Zero alla saga di Always: Sunset on Third Street fino alla science fiction nostalgica e fumettistica di Space Battleship Yamato) il grande cineasta nipponico aveva saputo associare ai momenti clou dell’azione un genuino afflato popolare, epico, senza eccedere in svolazzi retorici e “spiegoni” a buon mercato, che qui invece rischiano di prendere il sopravvento. Se a ciò aggiungiamo qualche “svarione” o altre piccole incertezze a livello di sceneggiatura (vedi ad esempio come è girato l’ultimo incontro dei protagonisti col serial killer, il quale esce dalla storia – e dalla stessa inquadratura – in modo alquanto problematico), resta un po’ di amaro in bocca per quell’epilogo, che non pare all’altezza delle emozioni e dell’adrenalina prodotte fino ad allora da un così vibrante racconto cinematografico, capace per il resto di shakerare bene gli elementi della “black comedy” e di una (più o meno) tipica “alien invasion”.

Stefano Coccia

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