Generazioni
Nelle kermesse dedicate alla fantascienza e al fantastico nelle sue diverse declinazioni come può essere Sognielettrici, la manifestazione ideata e diretta da Stefano Locati che da due anni a questa parte si tiene in quel di Milano negli spazi dello IULM, c’è anche la possibilità di imbattersi in pellicole che si rifanno al cosiddetto realismo magico, quello stile pittorico e letterario che dipinge una visione realistica del mondo aggiungendo anche elementi magici, spesso confondendo i confini tra fantasia e realtà. Uno stile, questo, che per approccio, modus operandi e resa ha trovato terreno fertile ed espressione anche nella Settima Arte con pellicole che si alimentano delle medesime caratteristiche. È il caso di Tobacco Farms, l’opera prima di Rocío Mesa, presentata in anteprima italiana nel concorso alla seconda edizione del festival meneghino dopo le fortunate apparizioni nel 2022 a San Sebastián e al South by Suthwest, dove ha vinto rispettivamente il Dunia Ayaso Award per la migliore storia femminile e il premio del pubblico.
Ambientato nei vecchi essiccatoi di tabacco della pianura di Granada, il film racconta le storie parallele di una ragazza di città che va a trascorrere l’estate nel paese dei nonni e quella di un’adolescente locale che si sente intrappolata. Ed è sempre lì, nei fienili di questa area rurale che vive e si aggira una misteriosa creatura che finirà con il cambiare per sempre la visione del mondo delle protagoniste, qui interpretate con la giusta intensità e naturalezza dalle attrici non professioniste Ada Mar (Nieves) e Vera Centenera (Vera).
In quella che è la sua terra natia la regista costruisce e mette in quadro una storia che partendo dai suoi ricordi d’infanzia si tramuta in una sorta di fantasy-folk in cui i generi si mescolano senza soluzione di continuità. Ai capitoli di un romanzo di formazione con temi, problemi e stati d’animo annessi, trasposti attraverso le prospettive delle due figure femminili principali, la pellicola aggiunge all’impianto realistico di base delle incursioni nel fantastico che aprono nel racconto finestre immaginifiche, surreali e oniriche. Finestre che nel corso della timeline si aprono e si chiudono velocemente per poi restare spalancate quando si è in prossimità dei titoli di coda, per offrire allo spettatore di turno un epilogo riconciliatorio per i personaggi coinvolti e per il pubblico stesso.
A conti fatti però Tobacco Farms funziona di più quando si muove sul piano realistico piuttosto che su quello fantastico, con le suddette incursioni che nell’economia narrativa e drammaturgica del plot e dei suoi sviluppi appaiono accessorie più che necessarie. L’elemento soprannaturale purtroppo non è ben integrato nella storia, come parte naturale di essa, ma si presenta come un “corpo estraneo” che prova a farsi largo e a rivendicare un ruolo via via sempre più importante. Tali momenti generano sicuramente lampi di lirismo e poesia, ma non vanno oltre e restano sprazzi di bellezza. Dall’altra parte, la regista spagnola riesce a riflettere con sincerità e bellezza i sentimenti contrastanti delle due fasi della vita chiamate in causa parlando oltre che delle emozioni che le attraversano anche del senso di identità e della ricerca di libertà. L’autrice allarga poi gli orizzonti del racconto anche ad altre argomentazioni dal peso specifico rilevante come ad esempio lo spopolamento delle campagne e la scomparsa di un mondo, quello rurale, a favore delle città. Ambientazioni, storie, personaggi e argomentazioni che avvicinano il cinema della Mesa a quello della connazionale Carla Simón, con Tobacco Farms che ha nel suo DNA punti di contatto con Estate 1993 o Alcarràs che lasciano spazio alla contemplazione e alla riflessione.
Francesco Del Grosso