Incubo nella brughiera
Chi non muore nella brughiera, si rivede: potremmo parafrasare e sintetizzare così il nostro nuovo incontro con Sean Hogan, cineasta inglese di cui avevamo enormente apprezzato l’approccio al genere diversi anni fa, quando i suoi lavori arrivavano regolarmente al Ravenna Nightmare. Proprio a Ravenna avevamo infatti preso confidenza con una sorta di effervescente “new wave” britannica, composta dai vari Simon Rumley, Andrew Parkinson, Oliver Frampton e per l’appunto Sean Hogan; tutti in grado di apportare un salutare scossone al panorama del cinema indipendente europeo, cimentadosi nella regia di horror e thriller particolarmente ruvidi, personali, crudi, spiazzanti.
Ci ha fatto quindi molto piacere ritrovare intatta al 43° Fantafestival l’impronta così feroce e destabilizzante che caratterizza il cinema di questo autore inglese, del quale è stato proiettato sabato 7 ottobre presso il Nuovo Cinema Aquila un corto “aspirante lungo”, sostanzialmente un mediometraggio, intitolato To Fire You Come at Last (UK/USA, 2023). In pratica un incubo di quasi 45 minuti, immaginato dall’autore nel diciassettesimo secolo e ambientato tra i sentieri di una brughiera cupa, sinistra, come avevamo scherzosamente anticipato in apertura.
Ci ha pertanto preso in contropiede vedere Sean Hogan, di cui ricordavamo pellicole decisamente sanguigne ambientate però nell’Inghilterra contemporanea, alle prese con un piccolo film in costume. Collocato, esso, in secoli passati e impreziosito da un bianco e nero a dir poco strepitoso, sontuoso, dal fascino antico, persino un po’ “bergmaniano” nella sua fine tessitura fotografica. Ma all’interno del corposo, ben strutturato cortometraggio è confluito comunque quel timbro luciferino, che ricordavamo in altre sue opere, su tutte ovviamente The Devil’s Business.
Non a caso To Fire You Come at Last viene introdotto sullo schermo da una citazione di Christopher Marlowe. L’impronta faustiana della narrazione si appiccica quindi da subito addosso ai quattro protagonisti del corto, tutti in qualche misura legati (a partire dal padre, spocchioso Lord inglese) al giovane deceduto da poco, del quale vorrebbero portare a braccia la bara al cimitero prima che faccia notte. Anche perché la stradina nella brughiera che devono attraversare gode di una fama a dir poco sinistra…
Facendosi forte delle suggestioni ambientali, contaminando gli stilemi della ghost story britannica con temi e situazioni a lui famigliari (seppur traslati in un’altra epoca), Sean Hogan è riuscito nell’impresa di tenere altissima la tensione per tutta la durata del racconto. Lo scopo è stato raggiunto anche grazie al carisma degli interpreti, alla densità di quei dialoghi taglienti e affilati come un rasoio, nonché alla fortissima carica ansiogena attribuita specie nell’oscurità, di notte, a un fuori campo da cui trapelano insidie e suggestioni maligne. Fino a quel lisergico epilogo (con tanto di estemporanei bagliori rossastri) che rompe la sostanziale compostezza del tetro racconto rivelando repentinamente l’orrore in tutta la sua portata. Una lividissima e nera catarsi.
Stefano Coccia