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Gli ospiti

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VOTO: 8,5

Lapsus in fabula

Siamo convinti che chiunque non ami quel recinto, quei confini asfittici, quell’angusta “comfort zone” che il cinema italiano destinato alle sale il più delle volte propone, amerà invece Gli ospiti.
In sala, peraltro, il cinema così personale, tagliente, sottile e comunque godibilissimo di Svevo Moltrasio ci è approdato attraverso un percorso tutt’altro che ordinario. Intanto tale film è frutto anche, produttivamente parlando, di un crowdfunding andato a buon fine. E questo non sempre accade. A una genesì senz’altro singolare possiamo aggiungere il fatto che il suo autore, prima di firmare il lungometraggio d’esordio, si è fatto conoscere negli ultimi anni per una serie di riuscite operazioni mediatiche, dalla web-serie Ritals ad altre incursioni su Youtube o sui social caratterizzate da una vis polemica non omologata e da tanta, tanta ironia. Ma noialtri Svevo Moltrasio lo ricordavamo anche per certi corti e mediometraggi, di marca decisamente indie, che si erano fatti notare per l’originalità di sguardo e di pensiero al Palladium, per esempio, nel corso di qualche datata edizione del capitolino DAMS Film Festival.

Ecco, relazionandoci ora a un film come Gli ospiti, configuratosi sin dallo script quale vortice spazio-temporale in grado di fagocitare e alterare la percezione della realtà, da parte dei protagonisti come pure da parte del pubblico, dirottandola verso una dimensione solo apparentemente attigua a quella del quotidiano, è come se le diverse fasi creative dell’autore (compresa la sua lunga esperienza in terra francese, adombrata nella nazionalità di uno dei personaggi) fossero precipitate in un unico, magmatico oggetto filmico. Vi abbiamo infatti ritrovato le idee brillanti, surreali, spiazzanti e di marca situazionista già ammirate nei primi lavori cinematografici, ma in qualche misura “sgrezzate”, private cioè di quella patina un po’ casareccia che poteva caratterizzarne la confezione. Un limite che si riscontra del resto in tanto altro cinema indipendente. D’altro canto i dialoghi con quel carico di idiosincrasie, frustrazioni e paranoie varie sembrano essersi fatto carico di tutto il disincanto che il regista ha accumulato a lungo, negli anni, osservando lo stato comatoso in Italia della cosiddetta società civile e traendone spunto alla bisogna per quegli interventi sul web, graffianti e anch’essi poco convenzionali. Per finire, tutto ciò ha preso forma (e sappiamo bene quanto la forma sia importante) sullo schermo con un appeal cinematografico inedito, rispetto al passato, in quanto molto più curato a livello di inquadrature, setting, tempi comici e quindi montaggio, un montaggio in grado di conferire gran ritmo a questa surreale, luciferina commedia.

Detto ciò, la battuta nasce spontanea: attenti al loop! Venendo infatti al plot nudo e crudo, protagonisti de Gli ospiti (per inciso, a fianco dello stesso Svevo Moltrasio vi sono interpreti giovani e molto, molto preparati, nonchè aderenti ai rispettivi personaggi) sono alcuni amici, tra cui diverse coppie sul punto di scoppiare, che si sono dati appuntamento in una casa fuori Roma per trascorrere del tempo insieme. Tempo minato, ahinoi, da una lunga serie di gelosie, incomprensioni, tentennamenti, incompatibilità caratteriali e divergenze ideologiche. Ma soprattutto: di chi è quella casa? L’apparizione di un misterioso personaggio, nero ed apparentemente estraneo al gruppetto di “amici”, farà si che l’attenzione oltre a focalizzarsi sardonicamente sulle troppe strettoie del politically correct si sposti verso un MacGuffin quanto mai bizzarro, beffardo: la casa stessa, che ciascun personaggio ritiene sia sua. Ma questo è solo l’inizio. Tra teatro dell’assurdo e commedia degli equivoci, tra lapsus da antologia e ossessioni ricorrenti, con echi di Polański e altri di Buñuel, ciò che ha luogo è un effetto domino che finirà per minare qualsiasi altra certezza dei protagonisti. Un’indiavolata, irresistibile sarabanda, che accompagna lo spettatore verso lo sconcertante epilogo, in cui gli esilaranti meccanismi comici della narrazione si tengono miracolosamente in equilibrio con domande esistenziali e di natura sociale tutt’altro che peregrine. Perché, anche se col sorriso sulle labbra e con un’ironia che con è da tutti, Svevo Moltrasio qui si rivela (o forse si conferma, riconsiderando quelle aurorali intuizioni presenti nei suoi vecchi lavori) cineasta in grado di scardinare le convenzioni borghesi e con esse quel “quieto vivere”, la cui passività di fondo è da annoverare tra i grandi mali del presente.

Stefano Coccia

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