Zombi amarcord
Chiamato a introdurre in sala tale lavoro, programmato nel corso del 43° Fantafestival, il compositore delle musiche Federico Lai (amorevolmente rivolto alle grandi colonne sonore del passato, vedi ad esempio quelle di Fabio Frizzi, il suo contributo artistico) ha voluto sottolineare il fatto che all’origine de L’isola dei resuscitati morti non vi era, almeno inizialmente, l’idea di realizzare un corto in autonomia; bensì quella di girare spezzoni di un ipotetico, falso zombi movie, riconducibile all’estetica di stagioni decisamente più felici per l’industria cinematografica italiana, così da puntellare un documentario su questo prolifico filone, che poi non è stato più ultimato. I segmenti di fiction invece erano stati girati. E montati a parte hanno finito per dar vita a un gustosissimo cortometraggio.
Prima ancora della sua realizzazione, era stata quindi la curiosa genesi di un simile prodotto cinematografico a colpirci: qualcosa che ci ha fatto persino tornare in mente quanto ci avesse sollazzato, nel lontano 2007, la visione dei segmenti di finzione decisamente pulp, inseriti nel documentario “cult” di Ss-Sunda, The Diabolikal Super-Kriminal; riuscitissimo omaggio, questo, al mito del fotoromanzo noir Killing.
Una delle sostanziali differenze è che, nel corto firmato poi da Domenico Montixi, quelle estemporanee sequenze hanno preso vita propria, venendo a comporre un piccolo film tanto credibile sul piano filologico quanto traboccante di sangue e tanta, tanta, tanta ironia. E non siamo stati certo i soli a restarne piacevolmente sorpresi. La giuria del festival ha voluto infatti tributare a L’isola dei resuscitati morti il Pipistrello d’Argento per il miglior cortometraggio italiano, motivando tale premio “per il gusto citazionista e il rigore filologico con cui ha saputo omaggiare una fortunata stagione dell’horror made in Italy“.
Tale omaggio, divertente e divertito come si suol dire in certe occasioni, ipotizza la spedizione di un variegato gruppo di personaggi, tra cui militari e ricercatori, sull’isola in cui il pericoloso esperimento portato avanti da una spietata corporation ha portato a contaminare i locali, trasformandoli in un branco di famelici morti viventi. I riferimenti più o meno espliciti a Romero e a Fulci, come pure quei tocchi che rimandano all’estetica degli anni 70 e 80, quasi si sprecano, rimescolati in un calderone che trabocca di trovate splatter, ammiccamenti erotici, sguaiate parentesi umoristiche, colori sparati, teste mozzate e tante altre amenità. Ne deriva un’orgia di sangue, sesso, avventura ed eliminazioni sempre più ciniche, crude dei protagonisti stessi, che conduce man mano verso un finale senz’altro nichilista, ma con un’ironia di fondo che, virata verso l’eccesso e verso il grottesco, finisce per arricchire notevolmente la già sapida visione.
Stefano Coccia