Un mosaico di frammenti di memoria
Se ci pensiamo bene è una definizione calzante per la maggior parte delle opere biografiche che vediamo al cinema. Una serie di frammenti messi su pellicola con l’obiettivo di restituire una descrizione il più possibile aderente al vero della figura indagata. E risulta calzante anche per questo Timekeeper, ultima opera della regista russa Kristina Paustian e presentato in concorso nella sezione documentari internazionali del XXII Rome Indipendent Film Festival. L’autrice conferma il suo interesse per i temi antropologici e socio-politici, che ha indagato più volte nella sua cinematografia, con questo lungometraggio dedicato alla figura del poeta e matematico russo Velimir Khlebnikov. Tra i più importanti rappresentanti del futurismo nel suo paese Khlebnikov era anche un pacifista convinto che riteneva possibile elaborare un sistema matematico per prevedere le guerre nel futuro. Nel ripercorrerne le tracce, Paustian rifiuta le regole classiche del documentario biografico. Non organizza la classica detection nel quale cerca di portare alla luce un ritratto completo dell’oggetto della sua indagine. Piuttosto, fin dalle primissime immagini, veniamo catapultati in una narrazione stratificata su più livelli di spazio e tempo, confermando il suo gusto per la costruzione complessa del discorso cinematografico. Qui pare scegliere il flusso di pensieri come tecnica stilistica per organizzare il suo racconto. Tramite questo è libera di fondere diversi piani di tempo e spazio in un discorso che passa dal documentario alla finzione senza soluzione di continuità. Man mano che la narrazione prosegue si fa sempre più marcata la dimensione di soliloquio interiore nel quale la regista inizia a paragonarsi a Khlebnikov, a stabilire paralleli tra sé ed il poeta, in un percorso che parte dal diario di viaggio per transitare attraverso la riflessione filosofica. Se in alcune parti può apparire scombinato e didascalico è, in fondo, comprensibile. Essendo organizzato come un flusso di pensieri è giustificato che la narrazione non segua un percorso coerente ma proceda attraverso raccordi apparentemente estemporanei. Tutto ciò contribuisce, comunque, a creare un’atmosfera conturbante e, tutto sommato, adatta, dal momento che il protagonista era un esponente futurista. Con un linguaggio che riporta alla mente alcune delle opere documentarie di Herzog e film di Antonioni come L’avventura, Kristina Paustian finisce per confezionare un eccentrico documentario biografico che ci dice sul conto del suo protagonista molto di più che non un’opera più convenzionale. Questo perché, nel suo tentativo di rapportarsi alla figura di Velimir Khlebnikov attraverso il punto di vista di un rapporto epistolare tra pari e la confezione di un’opera dai tratti futuristi, la Paustian ci restituisce un ritratto vivido di un individuo il cui pensiero e le cui opere risulterebbero attuali anche oggi.
Luca Bovio