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Time to Hunt

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VOTO: 8

Un killer alle calcagna

Chi come noi da anni frequenta assiduamente il cinema sudcoreano sa cosa la cinematografia locale è in grado di fare per quanto concerne le produzioni di genere. In tal senso, non si contano le volte in cui i cultori della materia o i semplici appassionati si siano stropicciati gli occhi al cospetto dei film realizzati a quelle latitudini. Tra le perle partorite più di recente, merita senza alcun dubbio una citazione Time to Hunt di Yoon Sung-hyun, che dopo la calorosa accoglienza alla 70esima Berlinale è approdata nel catalogo di Netflix per allietare il pubblico della piattaforma. Come? Semplicemente con una storia dalle dinamiche ampiamente codificate, ma capace di tenere incollato alla poltrona lo spettatore di turno per due ore e passa grazie a un crescendo di tensione da manuale. Fattore determinate ai fini di un film che a conti fatti può essere considerato un vero e proprio accumulatore seriale di tensione ad alto voltaggio, che offre uno show balistico e adrenalinico meritevole di essere ricordato.
Come anticipato, la trama si sviluppa e prende forma intorno a basi narrative già consolidate, con un gruppo di amici che progetta un colpo per poter rubare molti soldi ed andarsene da una terra natia devastata e in preda a una profonda crisi economica, con gravi debiti nei confronti del Fondo Monetario Internazionale e la maggior parte della popolazione ridotta alla povertà. La scelta ricade su un casinò illegale, che la banda riesce a svaligiare, portando a casa l’intero malloppo, compresi degli hard disk che contengono informazioni preziose e video compromettenti che potrebbero fare tremare vertici politici e personaggi influenti. Ed è proprio il recupero di quel materiale così scottante a spingere i responsabili del casinò a sguinzagliare alle calcagna dei protagonisti un killer spietato e letale.
Nasce da qui una coinvolgente e frenetica caccia a l’uomo, di quelle che tolgono il fiato tanto ai diretti interessati quanto a coloro che stanno dall’altra parte dello schermo. Il tutto attraverso una fuga disperata verso la salvezza che costringe la banda a scontrarsi in più di un’occasione con un “mastino” armato fino ai denti. Fuga che darà vita a una sequela di scontri a fuoco e di scene dal forte impatto visivo, che hanno nella gestione sapiente dello spazio di volta a volta a disposizione, nell’efficacia della costruzione della tensione e nella regia eclettica del cineasta sudcoreano, il motore portante di un’opera meritevole di attenzioni, che mescola magistralmente stile pulp e atmosfere psichedeliche con neon e luci acide. Un’opera che, in una cornice dispotica, passa fluidamente dal classico heist movie all’iper-cinetico action-thriller, con tinte forti da noir metropolitano ad avvolgere il tutto. Cocktail che genera una timeline tesa come una corda di violino, agli estremi della quale la platea potrà gustarsi una rapina e un epilogo al cardiopalma, che da soli valgono il prezzo del biglietto e l’abbonamento annuale a Netflix. Vedere per credere…

Francesco Del Grosso

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