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Time Still Turns the Page

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VOTO: 8

Requiem per mio fratello

Non è certo una novità che ad Hong Kong si presti attenzione al suicidio, evento traumatico per eccellenza che periodicamente fa irruzione in tale cinematografia. Proprio a Udine parecchi anni fa vedemmo per la prima volta Made in Hong Kong. Il capolavoro di Fruit Chan poneva l’accento proprio sulla lettera lasciata da una ragazza, prima di suicidarsi, quale elemento in grado di catalizzare ulteriori tensioni, di farle emergere con veemenza ancora maggiore, tanto da incidere inesorabilmente sul destino di alcuni coetanei.
Condizionata com’è dall’incredibile densità demografica, dalla difficoltà ad emergere per ottenere un’esistenza più dignitosa, da una competitività a scuola incentivata in modo parossistico dai genitori, dagli insegnanti e dallo stesso sistema educativo, la realtà giovanile hongkonghese è un coacervo di inaudite pressioni psicologiche, che possono anche portare ad azioni violente, ineluttabili, verso altri ragazzi o verso stessi. In tale cornice va ad inserirsi lo struggente, intensissimo lungometraggio che al Far East Film Festival 2024 si è classificato terzo, nella speciale classifica degli Audience Awards: Time Still Turns the Page di Nick Cheuk.

Ennesimo premio strameritato, ma non solo per il modo in cui è stato “centrato” il tema. L’empatia rappresenta chiaramente la nota dominante. Eppure, è proprio in una stratificazione narrativa profonda, nei volenti strappi tra un presente carico di interrogativi e quelle finestre su un passato non meno precario, minaccioso, inquieto, che il film di Nick Cheuk riesce a volare alto, ad appassionare realmente il pubblico.
Intimista e graffiante al tempo stesso, tale racconto cinematografico prende le mosse dalla reazione così sentita e allarmata di un insegnante, Mr.Cheng, al ritrovamento tra gli studenti di una lettera anonima, il cui autore (o autrice) annunciava l’intenzione di suicidarsi. L’intero corpo docente ovviamente appare preoccupato. Ma la partecipazione emotiva di Mr.Cheng rivela già qualcos’altro…

Saranno le pagine di un vecchio diario, appartenuto un tempo a quel bambino – egli stesso sbiadita cartolina di un’infanzia ormai lontana – che non seppe resistere alle pressioni sempre più snervanti esercitate da un genitore collerico, anaffettivo, a chiarire progressivamente il disagio dell’insegnante, in bilico tra un presente divenuto difficilissimo da gestire e i ricordi relativi al gravissimo trauma famigliare subito nella preadolescenza. Grande script. Grandi interpreti. Grande sensibilità nel raccontare i risvolti psicologici più delicati. Non ci sorprende quindi che Time Still Turns the Page, dopo aver commosso e turbato in profondità il pubblico di Hong Kong, abbia sortito un effetto simile su quello di Udine.

Stefano Coccia

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