Indovina chi bussa alla porta, di notte?
Nei salutisti anni 2.1 se nei film c’è qualcuno che fuma in genere ci sono problemi. Se poi in una famiglia un po’ disfunzionale a consumare bionde è l’adolescente di turno significa che le magagne sono piuttosto grosse. Se infine ci troviamo in un horror dove, in base alla semplice legge di Murphy, le cose storte sono destinate senz’altro a peggiorare, ecco che si rifanno vive le misteriose creature omicide in maschera che già avevano compiuto rilevanti danni in The Strangers (2008) di Bryan Bertino, del quale questo The Strangers 2: Prey at Night altro non è che il sequel a distanza di ben due lustri. Preambolo scherzoso e forse non necessario ma utile a far capire quanto il film affidato al britannico Johannes Roberts – che potremmo ormai considerare una sorta di affermato artigiano della serie B, specie dopo il recente 47 metri – ripercorra senza scossoni i fatidici luoghi comuni del genere stesso, affidando quasi del tutto le proprie speranza di riuscita allo spunto del lungometraggio primigenio. Cioè la paura atavica suscitata da un’aggressione tanto immotivata quanto selvaggia, perpetrata in un contesto che dovrebbe risultare, al contrario, foriero di sicurezze. E infatti, più che di home invasion, questo secondo capitolo prova ad alzare il tiro affrontando direttamente il concetto di area invasion, visto che i killer imperversano in un’intera zona residenziale, costituita in prevalenza da bungalow di scarsissima resistenza fisica, dove la famiglia di cui sopra – composta da genitori e due figlioli, un maschio e una femmina, in età appunto adolescenziale – si è appena trasferita. Quando si dice la sfortuna più nera…
Per il resto, la sceneggiatura firmata dallo stesso Bertino autore dell’opera primigenia e Ben Ketai (suo lo script del non disprezzabile Jukai – La foresta dei suicidi, 2016) si affida, per così dire, ai fondamentali del genere: perfetta unità di tempo e luogo alla Halloween di John Carpenter (fatti i debiti distinguo, ovviamente), final girl perennemente urlanti, azione notturna con umidità nebbiosa in grado di creare atmosfera ambigua e malsana nonché utilizzo, da parte dei killer di turno, di armi bianche pronte a lacerare carni e far sentire così la propria pericolosità agli spettatori disponibili a farsi coinvolgere dalle regole d’ingaggio. Ne scaturisce un film senza fronzoli, privato anche di quel minimo di assetto teorico che l’originale metteva in luce attraverso lo svelamento alla Funny Games di Michael Haneke dell’identità – assai giovane – dei persecutori misteriosi. Della serie: i nuovi barbari si divertono in questo modo. Anche un potenziale aspetto “politico”- quel filo spinato a circondare l’intero comprensorio – viene solo accennato e messo rapidamente da parte allo scopo di privilegiare quanto più possibile l’evolversi dell’azione dura e pura.
Gli appassionati allora gradiranno, oltre che il metaforico ritorno a territori assai conosciuti, anche una certa eleganza formale – colpisce in particolare l’attenzione che la regia di Roberts dedica alla profondità di campo – a permeare il tutto; gli altri, quelli che dal genere horror pretendono scosse telluriche allo status quo imperante, possono tranquillamente bypassare un lungometraggio che si propone, peraltro senza alcuna intenzione di barare, come compendio nostalgico di certo cinema slasher prevalentemente anni ottanta. In tempi in cui, in generale, si fatica molto, in qualsiasi ambito, a creare qualcosa di veramente innovativo, uno sguardo al passato discretamente consapevole può essere di certo accolto con favore.
Daniele De Angelis