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The Nightingale

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VOTO: 7

Io sono mia!

Dopo l’annuncio della line-up della 75esima edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia sono sorte numerose polemiche in merito alla presenza di una sola pellicola diretta da una regista nella rosa dei ventuno titoli selezionati nel concorso principale. Polemiche, queste, a nostro avviso sterili e inutili, che in quanto tali abbiamo deciso di non alimentare rispedendole al mittente. Ora non conosciamo quanti e quali siano stati i film giunti all’attenzione del comitato di selezione firmati da cineaste, ma confidiamo sul fatto che se le quote rosa nella prestigiosa competizione si siano ridotte a una sola unità è per motivi squisitamente qualitativi, di certo non sessisti o discriminatori. Anche perché a quanto ci risulta nel suddetto comitato figurano delle donne. Messe da parte le critiche e le chiacchiere da bar, a parlare dovrebbero essere i fatti e cosa è approdato sul grande schermo. E i fatti dicono che Jennifer Kent e la sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo The Nightingale quel posto, diversamente dal parere di altri addetti ai lavori presenti al Lido, se lo siano meritato sul campo.
Con l’opera seconda la regista australiana, già autrice del pregevole Babadook, cambia totalmente genere passando dall’horror psicologico al dramma in costume dal retrogusto western. E nella transizione porta con sé strascichi orrorifici che si affacciano nella timeline sotto forma negli incubi della protagonista Clare, una giovane detenuta irlandese che si trova ad attraversare il selvaggio e aspro paesaggio della Tasmania per dare la caccia a un ufficiale britannico, spinta dalla vendetta per un terribile atto di violenza che l’uomo ha commesso nei confronti della sua famiglia. Per portare a termine l’impresa, si avvale di una guida aborigena di nome Billy, che a sua volta è traumatizzato da un passato intriso di violenza. Ed è la violenza il baricentro drammaturgico e tematico della pellicola, la sua manifestazione che sfocia nell’efferatezza e nella ferocia di una fetta di storia che ha lasciato una profonda cicatrice in una nazione e nei suoi primi abitanti. Un male ereditato e che abbiamo portato sino ai giorni nostri con la violenza di genere, il razzismo e il sessismo.
In The Nightingale, la Kent riavvolge le lancette dell’orologio sino al 1825. Siamo nel periodo coloniale in Australia, un’epoca contrassegnata dalla violenza: nei confronti degli aborigeni, delle donne e del paese stesso. Per sua natura, la colonizzazione è un atto brutale e l’arroganza che l’ha contraddistinta persiste nei tempi moderni. E questo rende la storia al centro del film profondamente e maledettamente attuale a dispetto della sua ambientazione nel passato. Da qui e dai materiali sensibili che ha deciso di prendere in consegna che l’autrice ha dato forma e sostanza al plot, alle dinamiche e ai personaggi che le animano. Il tutto grondante sangue e disperazione, dolore e sofferenza, paura e incertezza, che si riversa sullo schermo con una sequela di scene molto forti e d’impatto (torture, stupri, infanticidi, vessazioni ed esecuzioni a brucia pelo) che nella loro interezza si scagliano sul fruitore come un pugno assestato alla bocca dello stomaco.
Con The Nightingale la Kent ha dipinto un ritratto storico che parla senza filtri alla platea di turno, destabilizzandola e scioccandola con un road-movie bucolico che svela dopo una trentina di minuti circa la sua vera natura, quella del classico revenge-movie, dove trova spazio una nuova “amazzone” costretta a calarsi nei panni di un nuovo angelo sterminatore.

Francesco Del Grosso

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