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The Last Journey

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VOTO: 7.5

Mi Lumina d’immenso

Un tempo era stato Corrado Guzzanti a farci conoscere le asprezze marziane di quel “rosso pianeta bolscevico e traditor”. Nel passare ora da Marte a una immaginifica “Luna Rossa”, parecchio distante nella forma e nella sostanza da quella celebrata in popolari canzoni partenopee, comparsa peraltro alquanto improvvisamente all’interno del Sistema Solare, tocca invece a un talentuoso esordiente francese, Romain Quirot, farci da anfitrione tra astri dai misteriosi bagliori rossastri. I toni sono comunque assai differenti. The Last Journey (ovvero, dal nome del personaggio principale di questo caleidoscopico racconto cinematografico, Le dernier voyage de l’énigmatique Paul W.R.) è un oggetto filmico davvero bizzarro, sgargiante nei colori e nell’approccio al genere, votato a farsi portavoce di una fantascienza dal forte timbro ecologista, ma senza le scontatezze e gli elementi didascalici che compaiono, a volte, in analoghi prodotti cinematografici concepiti nel mondo anglosassone. Sì, perché pur aspirando probabilmente a un taglio più “popolare”, accessibile al grande pubblico (vedi ad esempio la presenza fortemente iconica di Jean Reno), l’esordio di Romain Quirot possiede tutte le doti di freschezza, spregiudicatezza e spavalda rivisitazione del post-moderno che abbiamo rinvenuto, negli ultimi anni, in quella nidiata di cineasti transalpini ottimamente capeggiata da Bertrand Mandico.

Ci fa molto piacere perciò che a Trieste gli organizzatori di Science + Fiction 2021 lo abbiano proposto quale film d’apertura. Sfruttando così, a distanza di tanto, troppo tempo dall’ultima edizione in presenza, l’appeal soprattutto visivo di un film nato per essere ammirato proprio sul grande schermo; e sfruttando anche, volendo, le doti da comunicatore e l’istintiva simpatia di Hugo Becker, protagonista disposto persino a scherzare bonariamente in sala sulle differenze caratteriali tra francesi e italiani (“per noialtri l’italiano è come un francese, ma tendente al buonumore“… impossibile dargli torto).
Sullo schermo Hugo Becker impersona per l’appunto Paul W.R., giovane astronauta rifiutatosi di partire per una temeraria missione spaziale, che potrebbe essere l’ultima chance di salvezza per il pianeta. Pare infatti che l’enigmatico astro scoperto anni prima e subito sfruttato dagli umani per una formidabile risorsa naturale, ribattezzata “Lumina”, si stia vendicando della bieca ed evidentenmente insostenibile forma di sfruttamento subita, facendo rotta minacciosamente verso la Terra. Quasi la riedizione dei classici B-movies di una volta come il capostipite Quando i mondi si scontrano, diretto nel 1951 da Rudolph Maté. Anche l’apparentemente folle e autolesionistica “diserzione” di Paul cela però motivazioni importanti, le cui radici affondano tanto nel suo passato che nei misteri dell’Universo…

Carrellate iniziali di un mondo post-apocalittico in cui anche il prestigio della Torre Eiffel è finito nella polvere. Musica elettronica a condire riprese al ralenti dei sopravvissuti. E studiatissimi, eleganti passaggi dal bianco e nero al colore, per raccordare tra loro un presente di devastazione e le intense vicissitudini famigliari del protagonista.
Da ciò si può desumere già la variegata ricerca stilistica di Romain Quirot, che mescola arditamente tra loro situazioni da fantascienza filosofica anni ’70 (l’idea appena accennata di un pianeta “senziente” alla Solaris, tanto per dire) e soluzioni high-tech più scanzonate, specialmente quando è una poco praticata (forse giusto il misconosciuto Atolladero dello spagnolo Óscar Aibar ci aveva sollazzato altrettanto) contaminazione tra ambientazioni western e science fiction minimalista a farsi apprezzare. Qualcosa sul piano narrativo, è lecito dirlo, dà l’impressione di girare a vuoto. Ad esempio il sub-plot famigliare riguardante il personaggio di Jean Reno, padre del protagonista e “mad doctor dal volto umano”, poteva essere messo a fuoco meglio. Ma oltre che sul piano prettamente visivo, anche sul fronte delle emozioni nude e crude The Last Journey regala qualcosa di accattivante al pubblico dall’inizio alla fine. Ed è proprio l’epilogo, con quel rimando interno all’aurorale spunto fumettistico e iconografico che lo stesso attore Hugo Becker, durante la presentazione, aveva voluto comparare con l’immaginario e le coordinate etiche del celebre racconto di Antoine de Saint-Exupéry, “Il piccolo principe”, a porre il giusto suggello all’impresa. Contribuendo così a creare quella sintonia, quell’equilibrio, per cui le coloriture ultra-pop o la strisciante, giocosa ironia del racconto non stonano mai col tentativo di scendere maggiormente in profondità.

Stefano Coccia

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