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Antlers – Spirito insaziabile

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VOTO: 7.5

Una creatura ostile, metafora della società divoratrice

In una cittadina dell’Oregon si muove qualcosa di oscuro e inquietante. La prima ad accorgersene è Julia Meadows (Keri Russell), maestra frustrata di una scuola elementare. Uno dei suoi alunni, Lucas (l’azzeccatissimo Jeremy T. Thomas), si comporta infatti in modo strano: è taciturno, fa di continuo disegni in cui rappresenta immagini  bestiali e grondanti sangue, quando deve creare una fiaba, il contenuto è truculento. L’ impressione iniziale, ovviamente, è che il bambino subisca abusi in casa. Keri stessa ha avuto un’infanzia tragica, seviziata, assieme al fratello Paul (Jesse Plemons), dal un padre terribile. Questo la spinge a prendere a cuore la storia del piccolo e a parlarne proprio a Paul che, da un po’ di tempo, è lo sceriffo del posto. Anche se lentamente, le indagini cominciano. Mano a mano, il mistero rappresentato dai turbamenti di Lucas, la cui problematica famiglia non si vede in giro da settimane, si unisce ad una scia di morte che si fa sempre più preoccupante. La verità si trova nei miti dei nativi americani, incarnata in un incubo che, se non viene fermato in fretta, minaccia di travolgere l’intera comunità.
Basandosi sul racconto “The Quiet Boy” (“Il ragazzo silenzioso”), scritto nel 2019 da Nick Antosca, Scott Cooper confeziona questo Antlers – Spirito insaziabile, un ottimo horror dai toni cupi e per nulla banale. Collaborando alla sceneggiatura, assieme a Henry Chaisson, riesce a proporre un film che, senza indulgere inutilmente nello splatter o nell’orrore più puro (ma quando serve, i trucchi sono fantastici), predilige invece il linguaggio del thriller, dell’indagine ai confini della realtà. Scandito con i tempi giusti, utilizza al meglio i suoi attori, soprattutto il giovane Jeremy Thomas, il cui volto triste e angosciato rappresenta alla perfezione il tentativo umano e futile di resistere a prove per noi troppo grandi. Non ci sono inutili spiegazioni, non ci sono dialoghi espliciti che banalizzano la sofferenza che avvelena tutti i protagonisti: molte cose Cooper ce le fa intuire, ce le indica senza bisogno di aggiungere altro. Il sottotesto della vicenda, d’altra parte, è quello di un’attesa, dell’ineluttabile avverarsi di un triste presagio. Non è un caso che si accenni alla saggezza degli indiani d’America, i quali avevano già capito come la distruzione dell’ambiente, la fame insaziabile, generano mostri.
Grazie alla fredda fotografia di Florian Hoffmeister, al suo sapiente uso delle ombre, veniamo trasportati in una narrazione di grande atmosfera, che trasmette efficacemente un disagio non facile da scrollare di dosso, anche quando si esce dalla sala. L’avversario è invisibile ma la sua oscura presenza, in agguato, viene costantemente avvertita, ed è la metafora perfetta degli appetiti continui e dannosi che in questi anni ci stanno presentando il conto. Ne sono un esempio la miniera abbandonata, fatiscente spettro di un passato industriale che non tornerà, i costanti riferimenti a una crisi economica e sociale che miete anch’essa vittime, e lo sono le facce annoiate di una gioventù che ha smesso di sognare e alla quale Julia cerca inutilmente di insegnare il contrario. Molto distante dai troppi, fracassoni horror per adolescenti prodotti di recente, Antlers è semmai un ammonimento. Qui la paura maggiore sembra essere quella di un presente arido, che prepara un futuro buio, dove Lucas rappresenta una tenue speranza in cui è sempre più difficile credere.

Massimo Brigandì

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