Ritratto eccentrico e vitale dei bassifondi di Osaka
Il kama è una pentola che può essere di differenti dimensioni e avere diverse funzioni. Una di grandi dimensioni può essere adoperata nelle mense, per preparare più e più pasti, un’altra, di più modeste proporzioni, invece, può assumere un particolare valore cerimoniale e vedersi impresso addosso persino lo stemma di una band affiliata alla yakuza. Attorno a due di queste pentole, appartenenti ciascuna a uno dei tipi sopra citati, si muove The Kamagasaki Cauldron War di Leo Sato, presentato al Pesaro Film Festival 2019, opera poliedrica, a tratti documentaristica, per altri versi in bilico tra commedia e dramma, come i suoi protagonisti. Come in una pentola, o meglio in un vero e proprio calderone, Sato rimescola gag, goffi inseguimenti, lotte sgangherate e persino un sottile filone investigativo per arrivare a offrire una pietanza dai sapori contrastanti ma discretamente bilanciati. The Kamagasaki Cauldron War è un ritratto eccentrico di Kamagasaki, zona situata nei bassifondi di Osaka, un film che, girato a basso costo e in 16mm, restituisce un originale spaccato di questa realtà attraverso le frammentarie vicende dei personaggi che vi si muovono, i cui interpreti sono, per gran parte, presi proprio dalla strada.
Il filo che lega tra sé le varie storie dei protagonisti è esile ma ben dipanato. Un bambino, Kantaro, figlio del modesto mimo Naozo Henmi, si ritrova improvvisamente orfano e in possesso del kama cerimoniale della pericolosa gang Kamatari. Mentre quest’ultima è alla ricerca dell’oggetto perduto, Kantaro viene adottato dalla strana coppia formata dalla prostituta Mei, figura insofferente alla propria condizione ed estremamente orgogliosa, e dal ladruncolo e protettore del bordello Nikichi, fannullone caratterizzato dalla costante ricerca di facili (e spesso illeciti) guadagni. A questa caccia al kama perduto si aggiungono i sotterfugi e le manovre sottobanco operate dalla polizia di Osaka per smantellare una mensa popolare che è situata in un parco sul quale alcuni forti investitori vorrebbero edificare.
Il segreto della complessiva riuscita di The Kamagasaki Cauldron War (la cui realizzazione ha tenuto impegnato il regista per ben cinque anni!) sta tutto nella costruzione dei protagonisti, esseri umani dotati di una particolare dolcezza ed ingenuità, costantemente in bilico tra la miseria nella quale si ritrovano, loro malgrado, a vivere e i piccoli successi quotidiani delle loro esistenze periferiche. Nella loro spontaneità essi sono del tutto privi di una qualsiasi forma di coscienza di classe, come si potrà notare quando la protesta dei lavoratori contro la chiusura della mensa popolare del Triangle Park, celebre soprattutto per via della presenza di un gigantesco kama, simbolo del quartiere stesso, li coinvolgerà unicamente nella misura in cui riescano a trarre guadagno e accumulare denaro sfruttando la situazione venutasi a creare. Vi è una distanza importante tra gli abitanti di Kamagasaki e quelli del resto della città che è ben evidenziata nella scena in cui un professore porta i suoi alunni in visita al quartiere, quasi si trattasse di un fenomeno lontano, da indagare con gli occhi alieni di un turista e, manco a dirlo, durante questa gita improvvisata, finisce derubato da Nikichi, che passava di lì.
Lo stile adottato da Leo Sato è ricco, come ricca è la varietà dei suoi protagonisti. Balzano agli occhi soprattutto alcuni graziosi intermezzi musicali, che ricordano vagamente quelli proposti nel cinema di Kaurismäki, con Mei ed altri impegnati in canti improvvisati. Delle molte vicende che s’intrecciano, tra alti e bassi d’intensità e di divertita azione, ne risente un po’ il ritmo, invece, spesso scostante, a volte lento e a volte addirittura rockeggiante, con una sorta di marcetta militare che tenta di fungere da raccordo tra le varie scene e da tema di quello che, in ogni caso, resta un film “anarchico”.
Insomma, a Kamagasaki vi è una continua lotta del simile contro il suo simile, del povero contro un altro povero e c’è chi cade in piedi e chi no, chi s’adatta al gioco delle parti e chi, come Mei, sulla quale s’apre e si chiude il film, sogna di bruciare la città e di fuggire via da lì, una volta per tutte. Un’apertura su un possibile futuro diverso, su un possibile cambiamento, questa sì, decisamente politica, a fronte delle beffe delle proteste e della voglia di rivoluzione che tutti nel resto del lungometraggio si fanno, è data dall’insolita alleanza che si viene a costituire nel finale e che vede la banda della yakuza e i lavoratori di Kamagasaki unirsi contro la polizia di Osaka, colpevole di raggirarli e di prendersi gioco di loro. The Kamagasaki Cauldron War si chiude, però, sul brontolio della pancia di Mei, lo stesso brontolio di cui è vittima a un certo punto il piccolo Kantaro e che sta a simboleggiare il desiderio di riscatto quasi famelico che è proprio di chi, volente o nolente, si colloca ai margini della società.
Marco Michielis