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The Homesman

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VOTO: 8

Donne sull’orlo di una crisi di nervi

Due prove dietro la macchina da presa e altrettanti western – o presunti tali – per Tommy Lee Jones  che torna nelle vesti di regista con The Homesman, adattamento per il grande schermo dell’omonimo romanzo di Glendon Swarthout del 1988. Presentata in concorso all’ultimo Festival di Cannes e nella sezione Festa Mobile alla 32esima edizione del Torino Film Festival (prossimamente nelle sale nostrane distribuito da Movies Inspired), la pellicola ci catapulta nel 1854, al seguito di Mary Bee Cuddy è una giovane e tenace pioniera, originaria del Nebraska che vive isolata alla frontiera americana, nel bel mezzo del Far West. Scartata da tutti i rudi uomini della zona, ma in compenso ritenuta una donna in gamba e indipendente, Mary Bee si assume il difficile compito di trasportare tre donne malate mentalmente nell’Iowa, nell’East, da dove provengono. E proprio a causa dell’ambiente a loro estraneo del West, sono uscite, chi in un modo, chi nell’altro, completamente di senno. Nel viaggio, la diligenza su cui Mary Bee ha caricato le donne si imbatte in un vecchio e rozzo vagabondo, George Biggs, al quale Mary Bee salva la vita. Allora George decide di aggregarsi alla compagnia per proteggere le donne dai pericoli del West, imbarcandosi in un viaggio avventuroso e ricco di sorprese, che porterà i due, avvezzi alle chiuse leggi di frontiera, a compiere un percorso di maturazione generale.
Tra il western old style e il road movie, The Homesman fa rifermento agli elementi codificati del genere d’appartenenza, per poi scardinarli, rielaborarli e riproporli sul grande schermo in chiave personale. Per farlo, Jones mette in discussione alcuni elementi imprescindibili del ricco filone, sorprende la platea con un colpo di scena che non ti aspetti, ma soprattutto affida i ruoli principali a dei personaggi femminili, solitamente relegati – salvo rarissime eccezioni (la Jennifer Jones di Duello al sole o la Barbara Stanwyck di Le furie) – ad “accessori” chiamati ad interagire con quelli maschili. Qui sono Mary Bee e le tre donne che decide di scortare sino al convento le vere colonne portanti del racconto. Sono questi i punti di forza, oltre ad alcuni momenti di alta tensione (l’incendio dell’hotel su tutti), che fanno di The Homesman un’opera da non lasciarsi sfuggire. Ne viene fuori un film sulla redenzione e la solitudine, inferiore per potenza drammaturgica e complessità dell’architettura narrativa (ne Le tre sepolture la struttura a incastri firmata da Guillermo Arriaga fa la differenza), ma comunque magnetico, nostalgico e a tratti struggente.
Il film presenta una regia molto classica, con uno stile asciutto ed essenziale, privo di soluzioni estetico-formali degne di nota, ma non per questo non valido, poiché solido e perfettamente in sintonia e al servizio dello script, dei personaggi e degli interpreti. Da parte sua, Jones è bravissimo a dividersi tra il lavoro dietro e davanti la cinepresa, senza che l’uno prenda mai il sopravvento sull’altro. Un controllo ed equilibrio che probabilmente ha imparato da grandi registi che lo hanno diretto (da William Friedkin a Clint Eastwood, da Robert Altman ai fratelli Coen e Steven Spielberg). Potrebbe sembrare una cosa scontata, ma non lo è affatto, perché sono pochissimi gli attori passati alla regia (Clint Eastwood docet) capaci di ricoprire entrambi i ruoli con la stessa cura. In The Homesman, infatti, la direzione degli attori va di pari passo con quella espressa sul versante tecnico. In tal senso, il tasso di difficoltà aumenta in maniera esponenziale se si pensa al fatto che Jones, oltre ai straordinari colleghi che ha scelto per comporre il cast, aveva il compito di dirigere se stesso. Qui interpreta il ruolo della spalla, ossia quello del rozzo vagabondo George Biggs, che ha nel proprio dna caratteriale e drammaturgico i geni del Pete Perkins de Le tre sepolture e del Hewey Calloway di The Good Old Boys (il tv movie diretto dallo stesso Jones nel 1995, che rappresenta il vero esordio alla regia dell’attore americano). Ed è proprio con quest’ultimo che  condivide le affinità elettive più evidenti, con Calloway che come Biggs è un cowboy in là con gli anni che deve scegliere tra il suo desiderio di rimanere liberi e le responsabilità di mantenere una famiglia. E la performance di Jones davanti la macchina da presa acquista ancora più spessore e forza anche grazie al cast al femminile che lo circonda, capitanato dalla due volte premio Oscar Hilary Swank, che nei panni della protagonista femminile si prenota – salvo sorprese – una poltrona ai prossimi Academy Awards, oltre alle intense Grace Gummer, Miranda Otto e Sonja Richter, nelle vesti delle tre donne scortate.

Francesco Del Grosso

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