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The Founder Effect

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VOTO: 6,5

Quella casa nel bosco

Tra le pellicole provenienti dalle varie latitudini presentate nelle sezioni competitive del Castiglione del Cinema Film Festival 2024 non poteva mancare all’appello almeno una battente bandiera a stelle e strisce. Si tratta di The Founder Effect, l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Justin MacGregor, della quale firma oltre alla regia anche la fotografia e la sceneggiatura. Il cineasta statunitense per l’occasione ha deciso di rimettere mano a un precedente cortometraggio da lui diretto nel 2015, conservandone il titolo e i caratteri salienti del plot, dando però alla narrazione un più ampio respiro sulla lunga distanza.
Lo sviluppo del racconto rispetto alla matrice si può notare sin dai primissimi minuti con la timeline che ci porta in media res all’interno di uno studio televisivo mentre un esperto di persone scomparse di nome Declan Bakker sta parlando al pubblico di casi di gente riapparsa diversi anni dopo senza alcun ricordo di dove siano state. Il suo discorso chiama in causa luci strane e un presunto alto tasso di sparizioni nei parchi nazionali. Il tutto mentre un poliziotto locale chiamato Jack Rooney si sta preparando per andare in campeggio con la sua famiglia, la nuora Lillith e i nipoti Emily e Kristian. Il padre dei ragazzi, Simon, si era suicidato alcuni anni prima, un fatto che grava ancora molto sull’uomo. Questa perfetta vacanza si trasforma in un incubo ad occhi aperti quando il nipote svanisce improvvisamente nel nulla. Jack, che ha già perso un figlio, è determinato a non perdere anche lui, motivo per cui si lancia in una disperata ricerca che lo costringerà a fare i conti con il suo doloroso passato e con una verità sconcertante.
Quello che MacGregor ha provato a fare, a nostro avviso riuscendoci soprattutto nella prima parte, è depistare lo spettatore di turno attraverso un lavoro con e sui generi e le atmosfere chiamando in causa da una parte il thriller e dall’altra una fantascienza di tipo soprannaturale. Il ricorso a inspiegabili luci lampeggianti che suggeriscono che qualcosa di ultraterreno è in gioco, prima che la sinistra verità dietro la scomparsa del bambino venga rivelata, innescando il meccanismo e le regole d’ingaggio del revenge-movie, permettono alla scrittura e alla sua trasposizione di confondere efficacemente le acque quel tanto da spingere il fruitore a navigare a vista fino al momento in cui la nebbia mistery e la componente fantascientifica si diradano. L’ingranaggio utilizzato dall’autore ogni tanto si inceppa, ha qualche giro a vuoto, ma in linea di massima assolve e porta a termine il compito che gli era stato affidato, vale a dire non consentire al fruitore di accomodarsi e affrontare passivamente la visione di un’opera che sin dall’inizio dimostra di non avere nessuna intenzione di prendere per mano il pubblico, motivo per cui non cerca di fornire tutte le risposte e di conseguenza molte domande restano mentre scorrono i titoli di coda. Ciò potrebbe destabilizzare e persino infastidire coloro che vogliono e pretendono dal film tutte le risposte del caso, mentre invece MacGregor fornisce quelle necessarie per poi lasciare a chi sta dall’altra parte dello schermo la libertà e il potere di scrivere dei capitoli ulteriori della storia e interpretarle a proprio modo. Questo è l’aspetto che più ci ha convinto di The Founder Effect e che riteniamo possa essere il suo vero punto di forza, dove al contrario altri hanno manifestato dei dubbi e individuato l’anello debole della catena.
Nella ragnatela di generi tessuta dal regista americano che raggiunge il culmine con la classica missione di vendetta che arriva a compimento di una palleggio tra ciò che è reale e ciò che non lo è, The Founder Effect camaleonticamente cambia pelle aprendosi anche al dramma umano e psicologico nel momento in cui il protagonista si troverà a confrontarsi con la sua storia familiare, affrontando un vortice di colpa e solitudine. Tale innesto dona ulteriori stratificazioni alla narrazione, ma soprattutto permette al personaggio principale di essere più tridimensionale nel disegno acquistando un peso maggiore rispetto alla bidimensionalità caratteriale che si è soliti incontrare in profili analoghi. Nel Rooney interpretato con grande intensità e traporto emotivo da Rick Edwards c’è un duplice conflitto in atto che lo porterà a scontrarsi con gli spettri del passato e con un nemico presente che gli permetterà in parte di scacciarli.

Francesco Del Grosso

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